Ambiente e beni culturali, un’unica battaglia in Sardegna

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di Igino Panzino

Uno dei temi principali del confronto politico e in questi giorni della competizione elettorale è quello dell’ambiente, della sua tutela e della sua importanza per il futuro.

Un po’ meno si sente parlare di cultura, argomento che ha da sempre vissuto fasi alterne di attenzione, a seconda dei momenti viene infatti visto solo in subordine a problemi considerati più importanti. Si può però proporre un modo per superare queste differenze di considerazione a vantaggio di entrambi i temi: potrebbe essere quello di smettere di considerarli come materie differenti.

E’ ormai da parecchio tempo che storici dell’arte, dell’architettura, dell’urbanistica, del paesaggio e dell’ambiente, tendono a sovrapporre e ad identificare queste due questioni. Qualcuno ricorderà nei lontani anni settanta l’infuriarsi di Federico Zeri contro l’avanzare incalzante della speculazione edilizia verso l’Appia antica, un’irritazione dovuta alla semplice ragione che quel patrimonio storico artistico (come tutti quelli del genere) poteva mantenere intatto il suo valore solo se veniva rispettato il contesto naturale in cui era nato.

Tanto per divagare, va ricordato che non a caso Federico Zeri era un grande estimatore di Frederik Antal (lo storico ungherese che applicò il metodo marxista del materialismo dialettico agli studi della storia dell’arte), dal quale diceva di aver imparato che quella dell’arte non era una storia a sé ma faceva parte del grande flusso della storia sociale, con la quale intrecciava inevitabilmente delle strette relazioni.

Per questo, detto per inciso, il nostro studioso rimproverava gli storici dell’arte italiani di occuparsi molto di Raffaello ma di ignorare completamente gli “ex-voto”, dell’incapacità cioè di occuparsi di un contesto più completo che andasse oltre l’eccellenza per arrivare a lambire la storia del costume e quindi sociale.

La crescita della sensibilità verso i temi ambientali di questi ultimi anni ha contribuito non poco allo sviluppo della riflessione sulle relazioni tra cultura e natura. A questo proposito, particolarmente interessanti sono le osservazioni di Salvatore Settis, un altro importante storico dell’arte dei nostri giorni, che individua nel rapporto tra città e ambiente uno dei nodi dello sviluppo della democrazia (da leggere il suo “Architettura e democrazia”).

Un rapporto, quello tra la città (ovvero la cultura) e l’ambiente (ovvero la natura), dal quale dipende la qualità della nostra vita quotidiana e che può indirizzare lo sviluppo delle dinamiche sociali.

L’ambiente può perciò essere considerato non solo un valore culturale in sé, grazie, per esempio, al suo modo di raccontarci l’antropizzazione dei territori, visto cioè come prodotto storico, ma assume importanza fondamentale anche in quanto contesto, come appare particolarmente evidente nella nostra isola dove l’immenso patrimonio archeologico vive del rapporto con la natura circostante.

Su questo aspetto ognuno di noi può fare un suo esempio, io faccio quello del Tophet, la necropoli a cielo aperto, di S. Antioco.

D’altro canto la cultura, l’arte, vive da sempre del suo interrogarsi sul rapporto con la natura, sul cercare di capire se dominarla o se conviverci, è dei nostri tempi l’affermarsi di una tendenza di ricerca, conosciuta appunto come “Arte-Natura”, i cui artisti creano delle installazioni in contesti naturali utilizzando materiali prelevati dalla stessa natura, con la deliberata volontà di porre l’attenzione su questo tema di vitale importanza. Come si vede dunque le battaglie per la protezione dell’ambiente e quelle per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali si possono fortificare identificandosi in un tutt’uno utile anche per lo sviluppo economico.

A proposito di questo torniamo un attimo a Federico Zeri e ad una vecchia polemica che ebbe con Italia Nostra. Quando questa associazione lo accusò di essere contro i parchi culturali lo storico dell’arte replicò che lui non era assolutamente contro questi parchi ma che voleva che venissero aperti solo dove ci fosse l’impiego (lavoro dunque) di un personale tecnico e di sicurezza che guidasse i visitatori e che impedisse i furti.

Un’ultima considerazione da fare è la seguente: il nostro vastissimo patrimonio storico-culturale è nato grazie agli investimenti che i potenti delle diverse epoche storiche, anche per ragioni di immagine e spesso in concorrenza tra di loro, fecero sugli artisti loro contemporanei, mostrando una sensibilità che oggi appare quasi del tutto scomparsa.

Domandiamoci infatti che fine hanno fatto oggi le attenzioni e gli impegni sul il contemporaneo (ciò che dovrebbe diventare il patrimonio storico del futuro) da parte dei nostri potenti.

Molto istruttiva a proposito si rivela la totale indifferenza che i nostri amministratori mostrano verso l’applicazione (che pure sarebbe obbligatoria e non opzionale) della legge 717 sull’arte pubblica.I nostri discendenti si chiederanno il perché di un buco storico che interrompe la continuità della creazione del nostro patrimonio artistico che riguarda proprio i nostri giorni.

Un fenomeno a quanto pare molto italiano, infatti, in altri paesi europei e non, dotati anch’essi di notevoli patrimoni storici, non manca un concreto interesse verso l’arte contemporanea.

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