di Vindice Lecis
Quello che sto per raccontare per sommi capi è un confronto epistolare tra due esponenti politici sardi, di grande prestigio, come Renzo Laconi ed Emilio Lussu che dialogano e si scontrano a suon di articoli sulla rivista Rinascita Sarda a proposito delle vicende storiche dell’isola. Ciò che colpisce sono due aspetti: l’alta sensibilità e il livello culturale dei protagonisti, notissimi all’epoca e ancora non dimenticati. Non c’è traccia di accademia ma passione civile e storica. Oggi merce rara in Sardegna.
Nel settembre del 1951, Piero Calamandrei (giurista, antifascista, fondatore del Partito d’Azione) dedica alla Sardegna un numero speciale monografico della rivista Il Ponte. Si trattava di sessanta saggi, in gran parte di autori sardi, dove venivano affrontati numerosi aspetti della storia dell’isola. Un’iniziativa assolutamente straordinaria e di alto livello. Nel gennaio del 1952 Renzo Laconi (parlamentare del Pci, già nella commissione dei 75 della Costituente, scomparso nel 1967) su Rinascita Sarda, recensendo la rivista, apprezza il fatto che Calamandrei “non ha voluto raccogliere una disordinata miscellanea di saggi sulla Sardegna. Al contrario, egli si è sforzato di dare alla raccolta una struttura organica ed ha inteso fornire al lettore un itinerario preciso che lo conducesse gradualmente alla comprensione dei problemi peculiari ella Regione, dopo averlo fornito di una documentazione storica e di un criterio d’indagine”.
Per questo motivo Laconi, sorpreso, lamenta che nell’introduzione storica “siano quasi del tutto ignorati alcuni dei momenti più interessanti e più vivi della storia sarda”. Perché “dopo aver preso lentamente le mosse dalla preistoria e dalla storia antica, il lettore si trova ad un tratto bruscamente precipitato nella cronaca contemporanea”. Infatti vengono trattati “in quattro o cinque ponderosi saggi” le vicende della Sardegna nuragica, punica, romana ma “nulla o quasi si dice di quella civiltà dei Giudicati che diede una struttura tanto durevole all’organizzazione sociale del mondo indigeno e costituì la premessa dell’autonomia amministrativa conservata dalla Sardegna fino al 1947 sotto tutte le occupazioni straniere e forestiere”.
Ma Laconi lamenta con forza l’assenza di “una degna trattazione della rivoluzione contadina che prese il nome dall’Angioy, ma vi è quasi del tutto ignorato quell’Ottocento sardo che vide una serie di fatti rivoluzionari come l’abolizione del feudalesimo, il “generoso errore” dell’unificazione, il primo sorgere di una cultura “sardista” l’intervento del capitale industriale e la nascita del movimento socialista”.
Nel volume manca inoltre, sostiene Laconi, un indirizzo critico unitario quasi a voler confermare “in pieno la tesi della disunione dei sardi e quindi dell’immobilità storica della Sardegna, su cui ripiega amaramente anche l’appassionato sardismo di Emilio Lussu che ha dettato una bella introduzione al volume”. Laconi definisce quello di Lussu un “sardismo acritico” e ricorda come “l’ideologia nazionale e la nazione sorgono da un processo storico che non può essere retrodatato e la pretesa disunione dei sardi come degli italiani corrisponde in realtà a forme di aggregazione diverse da quelle che noi cerchiamo”.
La risposta di Lussu viene pubblicata sotto forma di lettera aperta al direttore Velio Spano nel numero di Rinascita Sarda del febbraio 1952. “Da oltre un secolo noi sardi – scrive l’allora deputato socialista e fondatore del Psd’Az – indaghiamo con tanta passione il nostro passato, sino alla preistoria, e v’è amorevole la speranza di trovarvi un compenso allo squallore e al silenzio dei secoli più vicini, compresi i moderni. Non credo che i documenti recenti ritrovati negli Archivi di Barcellona e di Madrid ci rivelino sorprese. I Giudicati e gli Stamenti (che peraltro non sono nemmeno usciti dalle nostre viscere) cioè oltre dieci secoli di storia più vicina sono là a dimostrarci la povertà fissa del nostro passato”,
Lussu rievoca anche l’esperienza di Angioy e ammette che il movimento antifeudale “che si riallaccia alla Rivoluzione francese … sembra rompa l’incantesimo ma cade nel vuoto”. Perché allora “tanta decadenza e immobilità? Io l’attribuisco a fattori molteplici che hanno reso possibile la permanente, schiacciante sopraffazione della classe colonizzatrice. Altri popoli, e non solo la Sardegna, hanno conosciuto questa nostra stessa immobilità. Per cui niente lotta politica – niente lotta di classe – fino alla nostra prima organizzazione degli operai e dei contadini: data che segna l’inizio della nostra vera storia, della ripresa della nostra iniziativa, della nostra rinascita”. Per Lussu la prima luce della Sardegna arriva dal movimento socialista. Nel passato, conclude – citando Dante nel XXII canto dell’Inferno (quello di Michele Zanche e Frate Gomita) – “tutto quanto era sardo appariva certamente incantevole a questi due nostri antenati che pur friggevano nella pece bollente”.
Il confronto storiografico e politico tra i due proseguì con lettere private la cui conoscenza dobbiamo a Giuseppe Podda, il giornalista dell’Unità che le pubblicò nel bollettino Pci-Regione informazione nel 1988 dove emerge un dibattito appassionato pur tra “qualche asprezza polemica e qualche affettuoso sarcasmo”.
Questo e altro si trova nel volume La Sardegna di ieri e di oggi (edito dalla Edes nel 1988) che raccoglie scritti e discorsi di Renzo Laconi con una importante introduzione di Umberto Cardia.
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