Povera Sardegna che mentre si dibatte nella miseria più nera e nel tradimento dell’ideale autonomistico apprende allibita che i ben pasciuti manager della sanità sarda chiamati dalla geniale giunta Pigliaru, sono i più pagati d’Italia. E che persino la ministra Lorenzin – non una Savonarola – denuncia questo scandalo.
Povera Sardegna in ginocchio per una settimana per l’emergenza maltempo e dove un’assessora ha dato il peggio di se.
Povera Sardegna dove chiudono i ponti crollati due anni fa e appena ricostruiti.
Povera Sardegna dove prima si affossano le province e poi, i loro demolitori, chiamano alla mobilitazione per sanare l’errore
Povera Sardegna dove settemila cittadine e cittadini hanno chiesto il reddito di inclusione sociale e quattordicimila lavoratori sono in mobilità.
Povera Sardegna dei pastori disperati con dodicimila aziende a pezzi per il prezzo del latte crollato a 60 centesimi al litro. E che attendono ancora il sostegno della Regione. San Briatore a che cosa è servito se non a qualche foto folcloristica con gli “indigeni”?
Povera Sardegna. Molti si illudono che tre tappe del Giro d’Italia possano rianimarla e si stropicciano le mani per un po’ di prenotazioni in qualche località.
Povera Sardegna che accogli con infantile e complice entusiasmo gli emiri aspiranti padroni cedendo terre e privatizzando un pezzo della sanità.
Povera Sardegna che vede agitarsi tanti aspiranti notabili in vellutino che ci spiegano che non c’è più destra o sinistra ma avanti e indietro, innovazione e conservazione, sopra e sotto. I sardi però sempre sotto.
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