di Vindice Lecis
Daesh arretra in Siria e Iraq ma, non per questo, la guerra asimmetrica alla pace che da anni il terrorismo jihadista ha scatenato contro l’Occidente ha perso vitalità. La relazione annuale redatta dal Dis – l’organismo di coordinamento dei servizi segreti Aise e Aisi – sulla Politica dell’informazione per la sicurezza presentata fa al Parlamento, ci dice infatti – pur senza allarmismi – che l’Italia e l’Europa non possono stare tranquilli. Si profilano sfide nuove alle quali occorre rispondere senza paraventi ideologici o atteggiamenti viziati dal politicamente corretto che ci renderebbe disarmati.
Il fenomeno migratorio è il primo vero problema. Il 2016 è stato l’anno record degli sbarchi sul nostro Paese: 181.436. Se sommiamo questi arrivi a quelli del 2015 (153.842) e del 2014 (170.100) arriviamo a 505.378 persone sbarcate sulle coste italiane in un triennio. Un dato enorme. Il 90% degli imbarchi avviene in Libia (profezia di Gheddafi avverata), il resto in Egitto (7%), Turchia (2,1%) e Algeria e Tunisia (ciascuna con lo 0,6%). Chi arriva in Italia? Il record è dei nigeriani (37mila) seguiti da 20 mila eritrei. Questo massiccio esodo verso l’Italia – spesso ponte per altri paesi europei – è dovuto alla chiusura della cosiddetta rotta balcanica che ha fatto crollare i “passaggi” in quell’area da 800 mila del 2015 ai 160 mila dell’anno successivo.
Sono innegabili i riflessi sulla sicurezza derivanti dall’imponente flusso migratorio. Sarebbe da irresponsabili non valutarlo. Perché il flusso produce enormi profitti dal traffico illegale di esseri umani e consente un’interazione con i radicali islamici. Ecco perché la nostra intelligence punta un faro sulle infiltrazioni terroristiche nei flussi migratori. Non numerosi, ma certo presenti. Due dei responsabili degli attentati di Parigi del 2015 avevano raggiunto l’Europa nascondendosi tra i migranti nei Balcani.
L’interazione tra criminalità e radicali islamici si manifesta in modo pervasivo nell’approvvigionamento di documenti e titoli di viaggio falsi. In questo modo l’Europa appare vulnerabile e con porte spalancate. Con documenti falsi hanno operato i terroristi che hanno colpito a Parigi nel 2015 e, lo scorso anno, a Bruxelles e a Berlino. Il fattore di vulnerabilità è ora dato dalla mobilità di estremisti tra il settore siro-oracheno e l’Europa.
Asciuttamente i nostri servizi di intelligence analizzano il fenomento migratorio. Il massiccio afflusso – che continua inarrestabile – può determinare gravissimi rischi. Vediamo quali. Il primo è lo stressare le comunità degli stranieri già residenti “incapaci di assorbire nuovi arrivi” che così vengono esposti all’emarginazione sociale e diventano preda di derive criminali e islamico radicali. Il secondo, è la crescita dello sfruttamento degli irregolari col lavoro nero “dettato dall’impellenza dei migranti di dover estinguere il debito contratto con le organizzazioni criminali”.
Il terzo fattore di rischio è dato dall’affollamento delle strutture di accoglienza ritardando in questo modo le procedure di protezione. Il quarto riguarda la convergenza tra reti criminali nazionali e trasnazionali per gestire il remunerativo business dei clandestini. Infine, la crescita dell’impiego di sistemi informativi per il trasferimento dei proventi illeciti.
Le migrazioni di massa, nota la nostra intelligence, sono ormai un fenomeno di lungo termine e portata storica, effetto di un concorso di fattori “strutturali e congiunturali”. Vale a dire: gli squilibri reddituali, i grandi cambiamenti climatici, guerre e carestie, l’instabilità politica, l’aumento della popolazione in determinate aree. La “patologia sistemica” rimanda ad alcuni fattori: il coinvolgimento di network criminali transnazionali, la contiguità tra circuiti criminali e terrorismo sin dai paesi di origine, di transito e, spesso di destinazione; il riciclaggio e il falso documentale e la congestione delle strutture di accoglienza.
L’attenzione si focalizza sul terrorismo atomizzato e acefalo. Il cosiddetto lupo solitario, non meno pericoloso di quello organizzato e militarizzato. E che trova soldati negli estremisti cosiddetti homegrown, reclutati tra immigrati di seconda generazione.
Secondo il Dis “sempre più concreto si configura il rischio che alcuni di questi soggetti decidano di non partire – a causa delle crescenti difficoltà a raggiungere il teatro siro-iracheno ovvero spinti in tal senso da motivatori con i quali sono in contatto sul web o tramite altri canali di comunicazione – determinandosi in alternativa a compiere il jihad direttamente in territorio italiano».
Tra i pericoli non c’è solo il terrorismo islamista. Cresce la criminalità straniera che si affianca a quella italiana (Cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra, criminalità organizzata pugliese). Le mafie straniere sono particolarmente pervasive in alcune etnie. I nigeriani controllano le comunità con modalità mafiose e con bande organizzate cultiste (riti speciali per terrorizzare le vittime). Sono specializzati in narcotraffico, tratta di esseri umani, immigrazione clandestina e prostituzione. Attivi sono i russofoni che insieme al dominio mafioso nella comunità propria con metodi violenti sono infiltrati nella finanza. I criminali provenienti dal Corno d’Africa che controllano flussi migratori e narcotraffico. Infine i mafiosi cinesi che marcano un controllo sulle dinamiche sociali della comunità, strutturati in lobby affaristiche e bande giovanili per condizionare o disarticolare attività commerciali dei connazionali.
La tutela del sistema Paese individua altri pericoli portati dai colletti bianchi legati alla criminalità italiana. Le pratiche illecite hanno il loro svolgimento nell’uso di carte di credito anonime alimentate senza limiti, nelle architetture finanziarie in Società di investimento variabile e, in particolare, nei sub appalti che drenano soldi verso l’estero dove si pagano tasse più basse.
Poi c’è il capitolo delle aziende italiane che producono tecnologia di altissimo valore. Sono esposte a pericoli derivanti dall’ingresso speculativo da parte di soci stranieri con lo spostamento dei centri decisionali fuori dal Paese. Non mancano mire espansionistiche di società straniere nei confronti di aziende italiane in difficoltà rilevate spesso con intenti speculativi e con l’obiettivo di ridurre la forza lavoro.
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