di Vindice Lecis
Il jobs act ha precarizzato una generazione intera. Centinaia di migliaia di giovani non sanno che cosa possa rappresentare un impiego stabile e sono smarriti alla ricerca di un’occupazione, ormai per definizione a tempo e senza diritti. E’ una questione spaventosa.
Una generazione non conosceinfatti la possibilità di programmare la vita perché i sogni sono stati polverizzati da anni di leggi che puntavano a scardinare la giustizia sociale, la possibilità di un lavoro degno. In una parola, dal pacchetto Treu sino al jobs act, i governi, sulla spinta delle oligarchie finanziarie, hanno costruito sempre meno cittadini-lavoratori e prodotto sempre più schiavi e sfruttati. La lotta di classe la stanno vincendo loro, i padroni e quanti hanno teorizzato le famose comunità di destino.
Il primo anno senza incentivi del jobs act – uno dei più grandi sprechi di denaro produttore di illusioni per ingrassare il padronato – ha mostrato il corpo devastato del lavoro in Italia. Finita la propaganda, la marea delle illusioni che si è ritirata ha lasciato scoperte terre sterili come deserti e numeri feroci che parlano da soli. Qualche giorno fa i dati Istat hanno confermato che i precari sono aumentati – e forse già ora, in questo momento, hanno smesso di lavorare – e con loro crescono legioni di sfiduciati. Ormai la realtà è quella della scomparsa dei contratti a tempo indeterminato e la crescita di quelli a scadenza.
Come possono i Renzi, i Gentiloni, i Calenda e i Boccia gridare alla ripresa grazie al funzionamento delle nuove regole? A dicembre 2017 rispetto al novembre ci sono stati 66 mila contratti in meno. E chissà quanti di questi lavori rientrano nella paradossale categoria Istat per cui basta un’ora di lavoro settimanale per considerare occupata una persona. Secondo l’Istat i cittadini che non cercano più lavoro – gli scoraggiati – sono più di tredici milioni.
Il milione di posti di lavoro sbandierato da Renzi è un grande imbroglio, una falsa notizia. In quel calderone infernale di precarizzazione, di lavori di un’ora, di chiamate di qualche settimana c’è la devastazione generazionale di cittadini che ormai vivono di stenti, di incertezze. Così hanno voluto i governi di centrosinistra e quelli di centrodestra. Per disegnare il profilo di italiani ormai a capo chino, incapaci di lottare e di rovesciare il tavolo, inconsapevoli dei propri diritti. Questo ci dicono i 300 mila precari in più censiti a dicembre.
In questa epoca di post verità e di manipolazione sul lavoro, ci resta come ferita sanguinante l’elenco lunghissimo dei tavoli di crisi aperti al ministero dello sviluppo economico. I lavoratori che rischiano il posto sono 170 mila impegnati in 162 vertenze. Nomi di aziende che scorriamo distratti nelle poche righe che l’informazione dedica e che riguardano alcune delle eccellenze nazionali. Molte delle quali erano diventate palcoscenico di parata per mostrare gli effetti magnifici del jobs act.
Oggi ci resta un deserto di finte tutele crescenti, di cassa integrazione che ha una durata inferiore a prima, di occupati precari e senza diritti. Il ministro Calenda sbraita contro Amazon per il braccialetto-catena. Ma è il frutto avvelenato del jobs act che ha sdoganato il controllo a distanza (ma anche tolto diritti e demansionato). Dei tanti jobs act che in giro per l’Europa stanno devastando la civiltà e costruendo rancore, rabbia e i famigerati populismi.
Invece di buoni sentimenti, di parole vuote, di campagne elettorali avulse dalla realtà, chi ha a cuore il futuro dell’Italia ricominci dal lavoro: per cancellare il jobs act e la scuola di classe che stanno costruendo, tornare al lavoro stabile come norma, ripristinare l’articolo 18 per evitare licenziamenti discriminatori, punire chi delocalizza, abolire la legge Fornero. Serve l’investimento pubblico, non il pareggio di bilancio di Junker, Monti, Renzi ed Emma Bonino. Il lavoro – come la salute, l’istruzione e l’ambiente dove viviamo – non è un semplice costo. Questa è la vera discriminante tra chi è di sinistra e chi vuole tornare a imbrogliare al tavolo dei padroni del lavoro e della pavida responsabilità.
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