I minatori di Olmedo: le multinazionali e la storia di una lotta che sta per riesplodere

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di Vindice Lecis

Hanno occupato la miniera, si sono asserragliati nel ventre della terra, hanno rivendicato il diritto al lavoro. Conquistando -almeno per un tempo limitato – la salvezza del sito impedendone la chiusura e la smobilitazione. Con una lotta drammatica hanno costruito una speranza riuscendo a far revocare i licenziamenti decisi dalla loro vecchia società, la multinazionale greca Silver&Barites Industrial Minerals che ne aveva ottenuto la concessione per quindici anni, a partire dal 2007.

Quando si parla di minatori, si associano alla cronaca immagini di antiche ed epiche mobilitazioni, specialmente in Sardegna. Così hanno fatto i lavoratori della miniera di bauxite di Olmedo. I recenti protagonisti di una stagione di lotte e mobilitazioni, talvolta estreme, combattendo quelle idre multiformi, spesso inafferrabili, dei mostri multinazionali che, quando vogliono cancellare un sito perché fa loro ombra, non hanno problemi a farlo. Con ogni mezzo. Inviano, ad esempio, un amministratore delegato compiacente, parlano delle leggi ineluttabili del mercato che decide e sovrintende ogni respiro. Se si tratta di 35 posti di lavoro, come a Olmedo, e un indotto ben più ampio, poco importa.

Per cui se ci pensiamo bene, i 35 minatori del sito di Olmedo alla ferocia del mercato finanziarizzato si sono opposti, alle sue regole violente. Finché dopo lunghe lotte e anche varie traversie, sono stati presi in carico dalla Igea Spa, una società in house della Regione Sardegna che ha preso il posto dell’antico Ems (Ente minerario sardo) che opera nell’attività di messa in sicurezza, ripristino ambientale e bonifica di aree minerarie dismesse o in via di dismissione. La sede è a Iglesias.

I 35 lavoratori di Olmedo sanno che la loro lotta ha messo una pezza su una ferita che ora sta per riaprirsi. Il lavoro è, infatti, garantito sino a dicembre 2018. Il 5 novembre scade il bando per la manifestazione d’interesse riguardante l’acquisizione del sito. Emilio Fois, lavoratore della miniera, combattivo e preparato esponente sindacale (fa parte della Filctem-Cgil), anima delle mobilitazioni dei mesi scorsi è chiaro: “Noi vogliamo salvare il lavoro, lo sviluppo e la continbuità del sito e la sua produzione. Ma vogliamo anche e soprattutto salvare gli operai”. Questo significa che occorrerà fare ogni cosa da parte delle istituzioni per uno sforzo di programmazione – e anche di fantasia – per salvare questo nucleo di lavoratori. Ma la prima sollecitazione è proprio a Igea: “Se fa le bonifiche nel Sulcis per quale motivo non deve farle anche a Olmedo”?.

Il sito fu scoperto negli anni Sessanta entrando in produzione nel 1991. Dalle sue viscere si estrae l’allumina, base per la lavorazione dell’alluminio. La produzione è stata di circa 120 mila tonnellate annue di minerale. Nel 2015 venne acquisita dalla società francese Imerys che non ha tardato troppo ad avviare le procedure di licenziamento per i 35 lavoratori. Che si sono opposti con una lotta durissima, a oltranza, sostenuti da un ampio arco di forze politiche, sindacali e delle istituzioni.

Ma per “resistere un minuto più del padrone” occorre restare uniti, avere una strategia e la duttilità della tattica. Non è facile, come spiega Fois, “quando come è accaduto a noi, si finisce vittima delle decisioni di una multinazionale che ha fatto fuori una diretta concorrente sul mercato”.

Fois ricorda il durissimo braccio di ferro avviato con l’amministratore delegato di S&Bim che, di fatto, ha traghettato la società nell’alveo di Imerys. “Ci ha imposto un cambio di metodi di lavoro e produzione. Ma così indebolendoci sul mercato”. Una sorta di commissario liquidatore. I lavoratori hanno denunciato i pericoli di una scomparsa del sito e tutto ciò si è materializzato quando questo è stato acquisito da Imerys.

Le ipotesi di smantellamento di un sito che produceva utili furono respinte e quel nucleo di classe operaia ha cercato nella sua lotta di coinvolgere le istituzioni teritoriali e quella regionale, oltre che le forze politiche. Cercando di sventare anche le manovre aziendali di dividere e di avviare una macchina del fango con accuse, persino, di assenteismo, mai provate. “In quel frangente ci siano resi ben conto, sulla nostra pelle, quanto siamo stati disarmati dal jobs act che ha reso ancora più ardua non tanto e non solo la nostra lotta, ma la possibilità di riuscire a salvare dei diritti”. Come, ad esempio, l’erogazione della cassa integrazione.

Al rientro dalle ferie della Pasqua 2015 ai rappresentanti sindacali viene comunicato che “finalmente da oggi siete licenziati”. A quel punto la risposta dei lavoratori all’amministratore delegato ha qualcosa di epico: “lei ha cinque minuti per prendere le sue cose e andare via”. E’ il preludio dell’occupazione del sito. Che dura otto durissimi e lunghi mesi di sacrifici, sofferenze e privazioni.

A dicembre la battaglia viene sospesa, qualche spiraglio si intravvede. Ma l’azienda decide di scaricare i lavoratori locali, incentivare l’uscita di alcuni e, allo stesso tempo, sostituire la forza lavoro con dipendenti venuti da fuori. Una sorta di oltraggio e provocazione.

Nella primavera del 2016 la Regione istruisce il bando e si fa avanti la Elmin, la società greca che acquisisce la concessone mineraria. Assume solo 4 lavoratori locali mettendo gli altri in mobilità. “Quella società – spiega Emilio Fois – si muoveva con prepotenza e decidendo di non voler far patti”. Finché anche la Elmin rinuncia e torna in posta l’Imerys che dimostra la sua volontà di chiudere la miniera.

Comincia così la nuova occupazione, nel settembre del 2017. I lavoratori decidono di non mollare. Scendono in galleria a meno 180 metri e si barricano nel sito. D’altra parte, alla lotta non c’è mai alternativa di fronte alle chiusure aziendali. La Regione si muove e anche il territorio: partiti (non tutti, in verità), amministrazioni locali, istituzioni. Il consiglio regionale vota una legge che stanzia 1 milione per il rilancio del sito. Il 4 dicembre, l’occupazione termina.

Nell’aprile 2018 si tenta la strada dell’accordo per l’assunzione in Igea di chi perderà la mobilità. Saranno in 12 ai quali poi altri 5. Ne mancano ancora otto. Ma i lavoratori pensano che il sito di Olmedo abbia un futuro e anche un mercato. Non mollano, e attendono con apprensione la data del 5 novembre e se ci saranno nuove manifestazioni di interesse per il sito.

E si preparano a dire la loro.

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