“Di fronte ai pregiudizi di quella che chiamano opinione pubblica, alla quale niuna concessione ho mai fatto, la mia impresa è, prima come poi, il motto del gran Fiorentino: “Segui il tuo corso e lascia dir le genti”. Carlo Marx, prefazione alla prima edizione del Capitale, 1867
di Vindice Lecis
Nella storia del Pci e nella vicenda migliore della Sinistra italiana non ti candidavi. Ti chiedevano di candidarti. E dovevi farlo, senza tentennamenti o eccessive paure, senza pensare al proprio tornaconto personale. Ci mettevi la tua faccia di iscritto, di militante o di simpatizzante. Lo facevi dietro un simbolo, la falce e martello con la stella cuciti su una bandiera rossa, sperando di poter dare un piccolo contributo alla causa della democrazia, del riscatto delle genti, dell’eguaglianza sociale. Anche se, oggi, siamo dei “nani issati sulle spalle dei giganti”, il significato di una scelta di adesione e impegno è identico a quello di tanti anni fa. Bisogna alzarsi, ci si deve battere.
Così ho fatto, accettando la proposta di candidatura di Sinistra Sarda per concorrere alla carica di presidente della giunta regionale della mia isola.
Perché la situazione lo richiede. E bisogna schierarsi. Perché l’austerità e il rigore europeo imposto hanno consentito non solo la vittoria del grande capitale finanziario e di élite feroci, ma ha svuotato di senso la democrazia, seppellendo le dimensioni nazionali, indebolendo i parlamenti eletti dai popoli. Che cosa hanno dato in cambio? Disciplina di bilancio, austerità, sacrifici oltre ogni limite per nazioni e popoli interi. Per far vincere la lotta delle classi a chi deteneva già i mezzi di produzione e le leve creditizie. Provocando dolore, povertà, diseguaglianze ancora maggiori, lacerazioni nella società, l’emergere di fantasmi sepolti come il razzismo e la xenofobia.
Per questo desta rabbia leggere l’ipocrita mea culpa, la tardiva ammissione di Junker, presidente lussemburghese della Commissione europea, che ora – ma solo ora – parla di “austerità avventata” nella crisi del debito sovrano nella zona euro e in Grecia in modo particolare. E che è stata data “troppa influenza al fondo monetario internazionale”. Ora, dopo aver affamato e devastato!
Il 25 agosto in un intervista alla Nuova Sardegna, il signor Flavio Briatore dispensava consigli ai sardi. Il Qatar vuole investire ma bisogna togliere i lacci che impediscono lo sviluppo, diceva. Aggiungendo che bisognava togliere i vincoli dalle coste per far costruire nella fascia dei 300 metri perché solo così si “sfrutta l’enorme potenziale”.
Ecco dunque, a proposito della politica che non è mai neutra, la giunta Pigliaru, più o meno, ha cercato di seguire quei caldi consigli di Briatore. Il Qatar ha infatti ispirato la “riforma sanitaria” e stava facendo altrettanto anche per il piano urbanistico. Due elementi distinti ma collegati. Edilizia, sanità privata, scasso delle regole esistenti.
Questo è uno dei tanti esempi che dimostrano come la giunta Pugliaru sia da bocciare. Ma non solo: la vertenza sulle entrate, prima tacitata e poi esplosa; la situzione degli enti locali; l’inadeguato programma Lavoras, bizzarra brutta copia elettorale dei cantieri di lavoro con l’aggravante che ora sembrano degli stages con molte ore e poca paga; il pasticcio della continuità territoriale per quanto riguarda i trasporti con la delusione finale della scomparsa rocambolesca di Air Italy dai nostri cieli; la barzelletta dei trasporti pubblici locali; l’attendismo di fronte allo spopolamento delle zone interne, causato anzitutto dalla mancanza di lavoro e dalla fuga dello stato centrale. Ma anche dalla spinta forsennata a privilegiare certe aree piuttosto che altre, con ingegnerie istituzionali attira risorse.
Stare a guardare tutto questo non è accettabile, non è giusto. Ecco perché ho accettato di essere il candidato della Sinistra Sarda – che è formata dal Partito comunista italiano, da Rifondazione comunista e da personalità progressiste – lanciando la sfida per un voto di sinistra che rimane a sinistra e non è disponibile ad avallare scelte scellerate. Sarà una battaglia aspra, e già se ne avvertono i meschini effluvi, ma ci resta l’obbligo di voler rappresentare idee, programmi e, specialmente, valori.
Nel nostro programma ci sarà scritto chiaramente che rimetteremo in discussione la riforma sanitaria, che impediremo scempi sulle coste, che lavoreremo per avere industrie pulite e legate ai territori e alle sue vocazioni, che non abbiamo pregiudizi sul metano ma impedendo speculazioni e distruzioni di terre, che vogliamo un piano di investimenti pubblici per arginare il dissesto idrogelogico, nella cultura e nell’istruzione e nella formazione, che non escludiamo una fiscalità di vantaggio. Vogliamo essere sempre dalla parte di chi lavora e produce, dai precari del settore pubblico e privato ai pastori e ai braccianti, dai minatori agli operai, dalle donne e dagli uomini dei servizi e del turismo ai medici e infermieri colonne della pubblica sanità, dagli insegnanti e ricercatori ai lavoratori del credito e a quelli dei beni culturali, dai lavoratori autonomi ai disoccupati.
Solo con una svolta a sinistra lo stato centrale – dove non siedono mai governi amici ma interlocutori della nostra autonomia speciale – sarà costretto a capire che qui non ci sono vassalli e che non dobbiamo baciare la pantofola. Nel nome di Antonio Gramsci ed Emilio Lussu, le nostre radici della coscienza di sardi.
Grazie, al lavoro e alla lotta
“Che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato? L’istinto della ribellione…”. Antonio Gramsci
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