di Vindice Lecis
E Soru – abbandonato dai Progressisti – restò solo con quelli di Azione, con gli ex Pd di ispirazione renziana, con la cerchia di alcuni gruppi indipendentisti e con Rifondazione comunista. E con il suo, ragguardevole, patrimonio a fare da collante.
Con questo pugno di sodali e solidi agganci iper-moderati (vedi appunto transfughi dal Pd), la candidatura di Soru, o meglio l’autocandidatura maturata nel grembo fertile del proprio vendicativo egocentrismo, si va configurando come un’operazione di chiara impronta centrista. Visto il suo silenzio durante i 5 anni di malgoverno della destra, si spera che non imbarchi persino compagni di strada in continuità con quella sciagurata esperienza.
Candidatura dunque molto “italiana”, cementata dall’ostilità al “campo largo” non da sinistra e con i toni che si leggono nella stampa benpensante nazionale.
Si tratta infatti di una livida risposta in chiave sarda per far naufragare – come chiede Renzi e la destra interna al Pd – l’ipotesi di un accordo organico con i 5 Stelle di Conte. Considerato il vero male.
Nessuno si dovrebbe sorprendere, però. Nemmeno coloro che vedono in quest’uomo la reincarnazione dell’ archetipo di vendicatore sardo in vellutino e che sono corsi in suo soccorso declamando antiliberisimo di maniera e parolaia autodeterminazione per lavarsi la coscienza.
Perché, vien da chiedersi, alcuni hanno subito la fascinazione dell’uomo solo, dell’autocrate? Quale disperante vuoto politico li ispira? Eppure se costoro – anche di sinistra – osservassero il percorso politico di Soru degli ultimi anni, farebbero fatica a trovare idee e posizioni chiaramente di sinistra. Di vicinanza alla storia del progressismo autonomistico. E, men che meno, alle istanze del movimento operaio e sindacale.
Dopo l’esperienza della presidenza regionale e la successiva sconfitta elettorale, seguita dallo scioglimento del suo partito personale (Progetto democratico appena riesumato), Soru si è caratterizzato come un vituperato uomo di partito “italiano”. Per molti anni, tantissimi, è stato segretario regionale del Pd, parlamentare, eurodeputato (con punte di assenteismo imponenti). Soru è stato iperveltroniano e ultrarenziano.
Non ha avuto il tempo di essere paladino dei sardi.
E negli anni della sua lontana presidenza si può ricordare solo l’importante legge sulle coste. Importante ma non bastevole a segnare il resto della sua esperienza.
La galassia che lo segue alla disperata ricerca di un capo, o meglio di un traghetto, ha dimenticato alcune scelte di campo assai controverse. E per nulla di sinistra o lontanamente progressiste.
Soru è, infatti, un renziano. Nei toni, nei modi, nelle scelte.
Nel 2016, in occasione del referendum promosso dallo statista di Rignano che puntava a uno smantellamento della Costituzione, ebbe a dichiarare all’emittente televisiva Videolina con i suoi soliti toni: “Oggi in Sardegna siamo davanti al pregiudizio, che è quello che la Riforma costituzionale metta in dubbio la sopravvivenza dell’Autonomia Speciale. In realtà accade esattamente il contrario: l’autonomia non solo non viene cancellata ma viene rafforzata”.
Parole che non lasciano dubbi sul suo vero pensiero. Rafforzate da un’altra dichiarazione rilasciata nello stesso anno durante un’iniziativa pubblica: “Il fascismo è nato cento anni fa, la guerra è finita da settant’anni: dobbiamo essere ancora col freno a mano tirato, con le mani legate e senza raggiungere un’efficienza più moderna, più attuale, semplicemente perché abbiamo ancora paura del fascismo”.
Affermazione imprevidente anche questa e decisamente sbagliata (e pericolosa) visti gli sviluppi seguenti della situazione italiana.
In tempi differenti ha estratto dal suo cilindro di parole, slogan quali la “comunità di destino”, una frase figlia del clima creato dall’allora potente capo della Fiat Marchionne, che vagheggiava la convivenza degli stessi interessi tra sfruttati e sfruttatori, padroni e lavoratori (sottinteso che a remare fossero i secondi). Anche il “partito della nazione” renziano, affollato di volteggiatori centristi, gli piacque.
Soru è, dunque, un centrista nella migliore delle ipotesi. Niente di grave, intendiamoci. Basta saperlo e ricordarlo benché farcisca questo iracondo moderatismo con ampie spruzzate di sardismo demagogico e per nulla innovativo. La sua auto candidatura è un fatto triste da autentico sfascia carrozze e ben decisa freddamente da tempo. Altro che primarie.
La sua personale coalizione non è alternativa ai blocchi nazionali come invece la descrive. E’ un accordicchio .
Non è un caso che Renzi guardi al ritorno di Soru con simpatia. E a Soru non dispiacerebbe avere con lui un partitino come Italia Viva che ha persino un assessora nella giunta regionale di Solinas. Dunque dove è la discontinuità?
E non è un caso nemmeno il sostegno entusiasta di Azione (quello di Calenda, ovvero Confindustria, liberista, guerrafondaio etc), il cui segretario sardo, Luigi Cucca (già parlamentare e segretario regionale del Pd, iper renziano anche lui) il presidente Solinas aveva scelto come segretario generale della Regione. Azione che ha ideato la legge bavaglio alla stampa di questi giorni. O l’appoggio di + Europa filo sionista all’eccesso, pasdaran Nato e liberista al cubo.
Davvero a quelle frange “indipendentiste” e anche “de sinistra” tutto questo non rovina la digestione? Non serve dunque nemmeno mettere un limite ai confini della loro coalizione?
Eppure poteva essere riproposta l’idea di Unione Popolare già presente alle politiche. Niente da fare, hanno pensato gli strateghi di Acerbo compiendo un’operazione davvero indecorosa di trasformismo.
In questo aiutati da quell’altro solipsista egocentrico, un professore anticomunista che si atteggia a ideologo.
O da personaggi minori, come quel sindaco del Sud Sardegna che solo due mesi fa scriveva che Soru “si porta dietro un’indigeribile concezione padronale della politica. E che la sua corsa, persino fuori dal “campo largo”, avrebbe a che fare molto più con le faide interne a quello schieramento che con il mondo dell’autodeterminazione. Detto sinceramente e con rispetto: non abbiamo bisogno di questo tipo di autocandidature”. Questo primo cittadino ora sostiene invece l’imprenditore di Sanluri. La coalizione dei camaleonti. Però, sardi.
Altro che rivoluzione gentile: un favore alla destra in affanno.
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