di Vindice Lecis
Voterò le liste di Potere al Popolo. Credo sia doveroso per ciascun cittadino schierarsi. Io lo faccio a favore della classe lavoratrice e per invertire il destino di morte per le nuove generazioni. Cerco di spiegarmi.
Potere al Popolo è qualcosa di più di un cartello elettorale ma un’alleanza e un movimento di sinistra che vuole abolire lo stato di cose presenti. A differenza di Arcobaleni, Ingroia e, specialmente Lista Tsipras fortemente viziate dal moderno e professorale anticomunismo, questa volta i comunisti ci sono e nel programma – rispecchiate in molte e qualificate candidature di iscritti, militanti e dirigenti – il loro ruolo è chiaro e netto. Per me questa è una garanzia. Non in tutti i punti del programma, in verità, mi riconosco ma si tratta di aspetti che possono essere cambiati (la sicurezza è basilare in uno stato democratico, ad esempio). Vedremo se durerà e in che modo.
Potere al Popolo comincia dunque a fare paura. L’ostracismo dei mezzi di comunicazione è diventato qualcosa di squallido e irritante e mette in evidenza una vera questione democratica di accesso all’informazione. Gran parte di questa è governativa e renziana (Stampubblica ne è l’esempio lampante) o sostiene la destra (le aziende berlusconiane), in difficoltà a capire che si possa fare politica senza essere del Pd o di Forza Italia o far parte della chiassosa ribalta della politica italiana. Potere al Popolo è il primo chiaro segnale, più o meno organizzato ma generoso, di reazione al liberismo in economia, quella teoria e pratica degli organismi internazionali, dei governi diventati esecutori di direttive e di una certa idea dell’europa che ci ha imposto l’austerità e privato della sovranità monetaria. Una ribellione che non ha ancora trovato sbocco organizzativo adeguato – nei movimenti, nei partiti – ma che nasce dalla profonda insoddisfazione dei ceti popolari per le scelte degli ultimi vent’anni. Importante è dunque questa prima ribellione, al pari di altre esperienze europee come in Francia e in Spagna.
Queste scelte dei governi sono state caratterizzate dall’ossessione reazionaria dello svuotamento della democrazia e dei suoi istituti rappresentativi. Per prima cosa: smantellare le Costituzioni e, anzitutto, quella italiana, la più avanzata perchè nata e forgiata dal fuoco della lotta di Liberazione e fortemente segnata dall’antifascismo. Smantellare o non applicare la Costituzione è stato il faro delle forze conservatrici che, a più riprese, e con diverse sembianze, hanno governato questo Paese. Dopo la Costituzione il passo successivo è stato sbriciolare e liquidare l’intervento pubblico in Economia: devastare le aziende di Stato, impedire gli investimenti, regalare o svendere le eccellenze nazionali, strangolare gli enti locali.
Il terzo punto è stato il controllo sulla scuola e sull’università, la loro trasformazione in aziende, messe in penosa competizione tra loro. La “riforma” Berlinguer – seguita dalle varie targate Gelmini e Fedeli – è stata una irragionevole risposta alla necessaria modernizzazione, scambiata come campo per forgiare non cittadini consapevoli del ruolo che dovranno ricoprire in una società democratica e giusta, ma da addestrare ai compiti che la “centralità dell’azienda” impone: profitto e accettazione silente di ordini.
Dietro l’idea strategica della privatizzazione dell’istruzione si sono affacciate le leggi sempre più sfacciatamente distruttive dell’ordinamento sul lavoro. Dal pacchetto Treu alla legge Biagi sino all’attuale jobs act di Renzi-Poletti-Confindustria, è stato un drammatico smottamento verso la precarietà e l’arbitrio che porta al dominio dell’impresa sul lavoratore, sempre più indifeso e senza diritti. Aver condannato una generazione intera alla precarietà – e tra poco comincerà il calvario per la successiva – è un vero grande crimine imperdonabile.
Questa lista di Potere al Popolo – pur con alcune ingenuità e cose francamente molto discutibili come sulla sicurezza – è l’unica risposta alla rassegnazione. All’accettazione di quel livido deserto di trasformismi e di finti cambi di governi che non si schiodano dal paradigma del liberismo e delle “riforme” peggiorative. L’apparato di coercizione statale ed europeo, racconta che a questo sistema non c’è alternativa: che la flessibilità e la precarietà sono opportunità, che la scuola deve preparare i soldatini delle imprese, che l’ambiente va sfruttato, che le guerre sono ineludibili. Non è così, non deve essere così.
Chi ha qualche dimestichezza con la politica sa che il realismo deve essere la sua stella polare. Ma il realismo deve essere corroborato non da cinismo e trasformismo quanto da una irriducibile volontà rivoluzionaria per cambiare lo stato di cose che non vanno. Potere al popolo ha detto che mai – se entrerà in Parlamento come gli auguro – appoggerà governi o governicchi col Pd. Perché non si illude che un Pd derenzizzato sia migliore, sottovalutando quanto questo partito – che ha riesumato Berlusconi – sia cambiato e in peggio.
Durerà Potere al Popolo? Solo se metterà nell’angolo i teorici del movimentismo inconcludente, della retorica delle scelte dal basso che, si sa, sono spesso una finzione patetica per modeste ambizioni personali. I partiti esistono e devono restare, con la stessa dignità di movimenti e associazioni (basta che siano vere, naturalmente). Potere al Popolo durerà oltre il 4 marzo se manterrà saldo il timone di una visione strategica che punta alla trasformazione profonda di quelle che ci dicono essere le immutabili compatibilità del sistema e gli ineludibili stati di necessità. Radicalismo non è estremismo: per questo oggi serve una profonda spallata contro l’Europa delle banche e dei poteri sovrannazionali e per incrinare il dominio delle eterne classi dominanti. Bisogna accettare questa sfida e fargli paura, ma sul serio!
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