Industria, sanità, lavoro e trasporti: così il Sassarese è finito nell’angolo

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Due anni fa il Sassarese si fermò per uno sciopero generale, una forte di grido di dolore per un territorio che subiva, e sta subendo ancora oggi, una crisi senza precedenti.  La giunta regionale guidata da Pigliaru assunse impegni che sono stati del tutto disattesi. Questa che segue è una lista delle priorità che Cgil, Cisl e Uil ha individuato per il territorio del Nord Ovest, completamente dimenticato dalla Regione. Ma è anche una descrizione del desolato deserto che abbiamo attorno.  E’ una cosiddetta piattaforma programmatica (trasporti,  lavoro, sanità, servizi, energia) che potrebbe anche essere assunta, in molte delle sue parti, da una sinistra che vuole governare. I sindacati non sono indenni da critiche , per assenze, silenzi e debolezze, ma rappresentano ancora le esigenze del mondo del lavoro e vanno ascoltati. Come devono essere sollecitati gli enti locali a schierarsi apertamente attorno a questi temi. Serve attenzione, intelligenza e non farsi fuorviare dalle cortine fumogene di agende politiche scritte altrove, da una subalternità ideale e culturale e dalle finte lotte interne ad alcuni partiti.

“Il rilancio dell’aeroporto di Alghero e del porto di Porto Torres sono elementi di un sistema
di trasporto regionale che attende concrete iniziative della Giunta. Il tema è il diritto dei sardi alla
mobilità e le relative soluzioni alla condizione di insularità. In particolare, la privatizzazione della
società di gestione dell’aeroporto fatica a risollevarne le sorti senza una forte politica di
marketing territoriale rispetto alle tratte, la cui mancanza sta determinando gravi contraccolpi
occupazionali nel sistema economico e sociale del territorio.

Una chance per i porti sardi può essere l’istituzione delle zone economiche speciali (Zes), strumento che può rendere appetibili aree che al momento non godono di uno stato di salute eccellente. L’istituzione della Zes, infatti, potrebbe portare alla nascita di nuove attività, alla costruzione di infrastrutture facilitate dalla fiscalità di vantaggio e tempi dell’azzeramento degli adempimenti burocratici che spesso paralizzano l’Italia. Ultima, non per importanza, la possibilità di accedere al credito d’imposta per gli investimenti (bonus sino a 50 milioni di euro che supera di gran lunga la soglia massima fissata sui 15 milioni). I collegamenti ferroviari e il trasporto pubblico locale richiedono investimenti, una politica di programmazione e strategie di gestione delle gare per gli affidamenti del servizio.

L a riforma del sistema sanitario e delle autonomie locali varato dalla Regione fa registrare
non pochi problemi. Riforme inefficaci compiute a danno dei servizi al cittadino, in una generale e confusa nuova articolazione (o neo centralismo) che compromette la partecipazione delle comunità e delle parti sociali.

L’attuazione del piano regionale del lavoro, dell’istruzione, della formazione  professionale e delle politiche attive del lavoro.  A ciò si somma la preoccupazione per quanto accade nel Credito, nel Commercio e  nell’Edilizia. In termini di presenza, tutti gli istituti di credito attuano, da anni, un importante  ridimensionamento con la scusa dell’efficientamento che si traduce in riduzione di filiali,
occupazione (meno 400) e dei servizi e del sostegno alle famiglie e le imprese mentre occorre
che si apra una nuova stagione di impegno innovazione di processi e di prodotti che richiedono
investimenti a partire dal turnover e dalle assunzioni di giovani e nuove professionalità.

Persiste la crisi dell’edilizia che paga uno dei prezzi più salati. Nel 2017 gli occupati sono scesi sotto  quota 22mila, rispetto ai 56mila del 2009. Nello stesso anno sono scomparse 220 aziende che
si sommano alle 5mila chiuse nel decennio precedente e il reddito medio per ogni operaio
sceso intorno agli 8mila e 600 euro. Nonostante la crisi evidente, il comparto edilizio è assente
dal confronto politico mentre occorrerebbero nuove strategie per rilanciarlo. Il punto di partenza deve essere quello delle opere pubbliche: è apprezzabile che il consiglio regionale abbia
approvato la nuova legge sugli appalti, ma non basta se poi non si sbloccano le risorse
pubbliche che devono alimentare i cantieri. Anche all’edilizia privata serve una scossa: la
Regione dovrebbe avere una nuova legge urbanistica necessaria a sbloccare risorse importanti
e contribuire a introdurre una diversa qualità nelle costruzioni e sollecitare il recupero di
materiali locali e delle tecniche di costruzione compatibili con l’ambiente e il territorio. Nel commercio la liberalizzazione degli orari e delle aperture domenicali e festive ha finito per
acuire le conseguenze della crisi e una continua emorragia di posti di lavoro. Nel 2016 e 2017
sono stati chiusi: Cedi, Sigma, Euronics, Brico center, Despar. Bisogna tornare a discutere di
una legge regionale sul commercio che preveda la concertazione e contrattazione su aperture
domenicali e festive rispetto a bisogni effettivi.

Il sito di produzione termoelettrica di Fiume Santo è assente nell’ipotesi di Piano energetico
regionale varato dalla Giunta, dove la mancanza di interventi di riqualificazione, in connessione
con il sistema industriale e i servizi territoriali, rischia la chiusura, orami quasi certa, data la
strategia energetica contraria all’utilizzo del carbone confermata anche a livello internazionale.
Il futuro dell’isola passa certamente dalla metanizzazione. La questione-energetica è la madre
di tutte le emergenze economico-produttive della. La crisi del nord ovest, così come quella
sarda, è il frutto del sedimentarsi di “crisi diverse”, ma tutte con uno stesso denominatore: il
differenziale, incolmabile, del costo della “bolletta energetica” fra le nostre imprese e quelle del
resto d’Italia e d’Europa. Proprio sul metano la Sardegna registra 50 anni di ritardo che hanno
determinato svantaggi nel gap fra il Mwh fornito in Sardegna e quello disponibile in Spagna, in
Francia o in Toscana.

Il protocollo della chimica verde del 26 maggio 2011, che a distanza di 7 anni è stato per gran
parte disatteso, aggravando l’occupazione per centinaia di lavoratori e le loro famiglie. Mancano
circa 2/3 degli investimenti previsti nel protocollo che constano in circa 700 mln di euro su 1150, con cantieri fermi e lavoratori che non possono più ricorrere agli ammortizzatori sociali (si tratta di 500-600 lavoratori in media). Si è così consumato l’ennesimo inganno per il territorio e per la Sardegna, con il risultato che Eni ha ottenuto la chiusura degli impianti di chimica tradizionale in cambio di niente, favorito da una colpevole assenza da parte della presidenza della giunta regionale alla quale è affidata la regia che la Giunta, pur sollecitata da Cgil, Cisl e Uil, non convoca dal suo insediamento. Al riguardo la convocazione dell’incontro del 12 giugno scorso, da parte del presidente Pigliaru, è stata intempestiva quanto inconsistente, poiché non ha ripreso temi e contenuti dell’accordo istituzionale del 26 maggio 2011 (chimica verde a Porto Torres), ma ha annunciato solo ipotetici accordi sul tema, senza affrontare il fallimento del  precedente protocollo e la chiusura degli impianti previsti con gravi ricadute occupazionali visto  che non ha indicato tempistica e numeri relativi al recupero di investimenti sugli impianti, sui  cantieri e sull’occupazione.

È utile ricordare che su questi temi il Presidente Pigliaru, prima dello sciopero del 26 maggio 2016, aveva voluto incontrare i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil per dare disponibilità ad aprire un tavolo territoriale. L’impegno era stato ulteriormente rafforzato in un’ampia intervista rilasciata dal presidente al quotidiano La Nuova Sardegna un giorno prima dello sciopero (25 maggio 2016) in cui Pigliaru affermava che “Il nord dell’isola è ora la nostra priorità”.

Il 30 maggio 2016, i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil avevano chiesto al governatore l’apertura del tavolo territoriale, richiesta rimasta lettera morta. In via informale, il governatore aveva assicurato l’apertura del tavolo dopo la firma del Patto per la Sardegna, siglato nel luglio successivo con l’allora capo del governo Matteo Renzi. Nessun tavolo, però, è stato mai aperto, né territoriale né regionale, tanto meno sui contenuti dello stesso Patto che prevedeva interventi e risorse per 2.9 miliardi di euro.

La Regione, dunque, deve affrontare le emergenze ormai croniche del lavoro, dell’istruzione, della formazione e delle infrastrutture, che sono alla base dello sviluppo e che le sono demandati nei
protocolli già siglati, disattendendo ad oggi gli impegni presi con le parti sociali e con il territorio.
Positivo l’incontro che si è realizzato a margine della mattinata con il Presidente Pigliaru e l’assessore all’industria Piras nel quale, preso atto dei passi realizzati per la fase uno e due, abbiamo concordato una strategia per richiamare Eni e Novamont agli impresi presi e ad una loro immediata applicazione per chiudere la filiera, che si delineerà nell’ambito di un incontro apposito con gli stessi previsto per il 27o il 30 agosto prossimi.

Parlare di lavoro, oggi nel sassarese, significa fare i conti con un territorio messo in ginocchio da
una crisi economica senza precedenti. Dieci anni lunghi e travagliati che hanno prodotto la chiusura di centinaia di aziende, ridimensionato la produzione e ridotto drasticamente i posti di lavoro con conseguente contrazione del reddito. Occorre dunque uno sforzo straordinario comune a tutti coloro che hanno responsabilità per consentire che i temi del lavoro e dell’occupazione, con una particolare attenzione ai giovani, tornino a essere centrali e prioritari nell’agenda politica a ogni livello con l’obiettivo di stimolare gli imprenditori a riavviare gli investimenti.

Cgil, Cisl e Uil, dunque, promuovono una nuova sensibilizzazione del territorio sulle ragioni della crisi e sulle priorità per le quali bisogna lavorare all’interno di una grande alleanza per lo sviluppo e per l’occupazione a partire dalla proposta di autoconvocazione degli stati generali del territorio fin dai primi giorni di settembre”.

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