di Vindice Lecis
Qualche decina di migliaia di persone in piazza che protestano devono suscitare, per un democratico, attenzione e interesse. Anche rispetto, certo. Non, tuttavia, adesione acritica. In molti casi si deve invece esercitare la pratica della robusta contestazione essendo necessario combattere determinate tendenze. Così come, davanti alla manifestazione di alcune decine di migliaia di persone che hanno affollato qualche giorno fa piazza Castello a Torino per dire Sì alla Tav, occorre capire bene che cosa sia successo e che cosa stia per accadere.
Suona davvero un pò esagerato il titolone della Stampa che occupava tutta la prima pagina con una foto della piazza gremita che recitava Torino, l’altra Italia. Ma ci fa ben capire dove vogliono che tiri il vento i grandi gruppi economici e industriali. Mi pare chiaro. Il paragone è corso alla Marcia dei Quarantamila che il 14 ottobre del 1980 la Fiat e i gruppi economici torinesi e nazionali, con l’appoggio delle forze di governo dell’epoca, sfilò in quella città in reazione, si disse, alla durissima lotta dei 35 giorni alla Fiat.
Quella manifestazione fu comunque un duro colpo per il sindacato che avviò una riflessione sulle forme di lotta e anche su taluni obbiettivi. Ma che c’entra quella marcia di capi e capetti Fiat (ma non solo) rispetto agli odierni Sì Tav? Che anche questa volta, come allora, si è creata una fusione di interessi. Come per una legge naturale, ciò che il risultato del voto aveva scomposto – l’alleanza tra capitale, finanza, impresa, centro destra e Pd – con la nascita del governo giallo verde con due partiti con elettorati diversissimi tra loro, quella manifestazione ha invece ricomposto. Rimettendo per intero tutte le tessere al proprio posto.
Mi spiego meglio. Quella folla era eterogenea certo (ex Dc, madamine, confindustriali, berlusconiani, tutto il gotha politico-creditizio innervato nel Pd subalpino etc) , ma aveva un grumo di coesione catalizzato in alcune forze politiche che si sono ritrovate insieme. Con grande naturalezza. In piazza si sono ritrovati così il Pd e Forza Italia (l’organizzatore era un sottosegretario ai trasporti di un governo Berlusconi, Giachino), la Confindustria e tante categorie economiche e l’attempata borghesia sabauda. E tutti – ma proprio tutti – i grandi giornali insieme alla Lega, tanto schifata sino al giorno prima. Sì, la Lega di Salvini. Questo è l’aspetto più curioso e interessante. Chi è con la Tav è moderno. Chi è contro, un troglodita. Che poi sia un’opera costosa, faraonica e sostanzialmente inutile, è questione cancellata dal dibattito. Come per il referendum radicale abortito di Roma che pretendeva – anche qui con l’appoggio dell’editoria tutta – di avviare privatizzazioni dell’azienda trasporti, certo dissestata, ma in mano pubblica.
Indicativo l’editoriale del direttore della Stampa, Molinari, colpito così tanto dalla folla da titolare un suo editoriale Una sfida per la modernità. Ma, curiosa, anche la scomunica paterna di Michele Serra sulla Repubblica che ha accusato quanti non vogliono il treno modernissimo e velocissimo degli affari e dello scempio ambientale, di “opporsi allo sviluppo”.
Tutto questo conferma che la politica non è neutra. Che gli affari non sono neutri. Che le classi si organizzano e formano partiti, gruppi e alleanze a seconda dei propri interessi concreti. Ad esempio la Lega ha confernato la sua vocazione di partito dei padroncini mentre i 5 Stelle a Torino hanno fatto approvare una mozione No Tav in consiglio comunale.
Tutto ciò che si muove nelle società ha il sapore della delinquenza delle classi economiche come la chiamava Gramsci. Che aggiungeva in Passato e Presente: “… se è vero che i partiti non sono che la nomenclatura delle classi, è anche vero che i partiti non sono solo una espressione meccanica e passiva delle classi stesse, ma reagiscono energicamente su di esse per svilupparle, assodarle, universalizzarle… Le classi esprimono i partiti, i partiti elaborano gli uomini di Stato e di governo, i dirigenti della società civile e della società politica. Ci deve essere un certo rapporto utile e fruttuoso in queste manifestazioni e in queste funzioni”.
Quel “rapporto utile e fruttuoso” si dimostra quando la politica si intreccia con gli affari. Ma non definite sviluppo la vostra propaganda.
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