di Vindice Lecis
“La Leopolda? Un grande carro dei vincitori per omaggiare il capo e la sua leadership che, invece di unire si mette alla testa di una fazione persino del suo partito. La Leopolda è anche la conferma di quella deriva plebiscitaria del Pd che ha il suo perno nella revisione costituzionale”.
Stefano Fassina, economista e deputato di Sinistra Italiana, dal giugno del 2015 è uscito dal Pd. Lo aveva promesso a Renzi e ai suoi: se fate avanzare scelte come l’Italicum, la buona scuola e il jobs act lascio il partito. E così ha fatto, candidandosi successivamente a sindaco di Roma per la Sinistra (ma la tempesta grillina ha scompaginato ogni previsione) e diventando uno dei “padri” di una formazione che a breve dovrà nascere: Sinistra Italiana che ha molte incognite sul suo cammino. Ha parlato con Fuoripagina.it. della situazione politica
La Leopolda renziana dunque è stata un grande carro dei vincitori?
“Non solo. E’ stato anche uno spettacolo triste vedere tante donne e uomini che, sino a poco prima stavano con Bersani appoltronati con lui, diventare renziani e plaudire alla cacciata della minoranza interna. Davvero uno spettacolo triste”.
Ma ora la Sinistra e le sue articolazioni devono affrettarsi a costruire un’alternativa. Lei ne parla in un documento ambizioso intitolato “Ricominciamo da capo”.
“La strada è lunga e ho delineato alcuni temi nel documento per un manifesto della Sinistra europea. Dobbiamo partire da un punto centrale: che l’élite dei sonnambuli europei non ha preso atto della situazione del vecchio continente e della sua economia e continua a difendere scelte come l’austerità e il neo liberismo avendolo persino inserito nelle costituzioni”.
E in Italia?
“Il giubbotto di pelle di Fonzie ha sostituito il loden di Monti. La sostanza non cambia. Il Pd ancora non prende atto che il suo crollo alle amministrative è cominciato subito dopo l’approvazione del jobs act. Le politiche del governo Renzi infatti sono l’esecuzione in versione pop dell’agenda liberista dell’eurozona attuata dall’esecutivo Monti. Oggi anche Prodi ammette il fallimento del liberismo ma nessuno però dice la cosa più ovvia: che questo fallimento nasce proprio dalla svalutazione del lavoro”.
La sinistra diffusa esiste, ma non ha più partito. Che cosa volete costruire?
“Per costruire un partito è necessaria una base sociale che sia chiaramente distintiva. Oppure, consapevolmente o no, si è appendice di qualcun altro”.
Mi spieghi meglio.
“Chiediamoci quale è oggi la base distintiva della sinistra. Ad esempio, i diritti umani e civili come sfera sganciata dalle altre sfere dei diritti possono esserlo? Io dico di no, senza dubbio. Dei diritti civili sono paladini tutti, anche le destre se ne fanno portatori, ma perché il primato illimitato dei diritti è coerente con l’impianto liberista”.
Che cosa mettete al centro oggi?
“Anzitutto la questione sociale intrecciata a quella ambientale e a quella democratica. Perché è chiaro che diseguaglianze e svuotamento della democrazia sono due facce della stessa medaglia. Alla base del nostro lavoro, ad esempio, ci deve essere la questione delle periferie”.
Ha destato un certo scalpore il fatto che lei sia stato a sinistra uno dei primi a mettere in discussone il totem dell’Euro.
“L’euro è stato un grave errore politico oltre che economico. Ho scritto nel documento che la sinistra europea si è illusa affidandosi invece a un funzionalismo economicistico astratto dalle specificità culturali, morali storiche dei paesi europei. Tutto livellato dalla moneta unica? Illusione. I risultati dicono appunto il contrario”.
Lei ha anche applaudito alla Brexit.
“Perché è un’opportunità. In Europa dobbiamo cambiare i trattati che esistono e che escludono il valore del lavoro. Dobbiamo cancellare il fiscal compact e bloccare Ceta e Ttip. Nell’eurozona abbiamo costituzionalizzato un liberismo estremo, che nemmeno Reagan o Thatcher avrebbero osato proporre. La Brexit può rappresentare per il liberismo reale ciò che la caduta del Muro di Berlino è stato per il socialismo reale. Ed è imbarazzante il vuoto a sinistra su questi temi. Qualcuno ricorda che qualche anno fa si diceva persino che il liberismo era di sinistra?”.
Lei dice che i termini Ulivo e centro sinistra sono da archiviare.
“Vero. Anzitutto perché il bipolarismo bloccato della prima repubblica e quello dell’alternanza della seconda sono stati superati da uno scenario tripolare che è quello di oggi. Teniamone conto.”
E poi c’è il Pd di Renzi.
“Mi vien da dire che Renzi non è un usurpatore ma l’interprete estremo e spregiudicato, il frutto della matrice culturale del Pd del liberismo europeista e della democrazia plebiscitaria. Tutte cose che già si intravvedevano al Lingotto”.
E i 5 stelle?
“Raccolgono la rappresentanza del popolo delle periferie, ma non declinano la richiesta di legalità con la giustizia sociale. Bisogna su questo sfidarli non boicottarli”.
E poi ci siete voi.
“Il rischio per Sinistra italiana è quello di un congresso inerziale senza ragioni fondative. Esempi di forma partito ci sono, guardiamo a Podemos e a Syriza, ad esempio. Tuttavia dobbiamo eliminare alcuni gravi difetti: il ritenere ad esempio la presenza nelle istituzioni come fattore preminente e inoltre lavorare per la formazioni di nuove classi dirigenti. Per farlo non servono primarie, sovente fattore di degenerazione interna. Serve invece un congresso a tesi senza candidature sovrastanti a segretario che sarebbero sbagliate”.
Altrimenti?
“Altrimenti se non scegliamo una rotta unitaria, affondiamo presto”.
E c’è la battaglia del referendum.
“La vittoria del No è condizione necessaria ma non sufficiente a rianimare la democrazia costituzionale. Vi è un’altra condizione: il lavoro. Quella è la grande battaglia da vincere”
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