di Vindice Lecis
Questa vittoria di Trump la dedico ai crociati del Sì. A quella schiera, oggi in luttuosa grisaglia, che grida allo scandalo per il successo del magnate repubblicano. E che, allo stesso tempo, per l’Italia vuole imporci il premierato assoluto, un Parlamento di nominati e accucciati e un allentamento (chiamiamolo così) del sistema di bilanciamenti e contrappesi istituzionali.
Perché la dedico ai pasdaran del Sì, ai tanti giornalisti, commentatori, ai gregari e sotto pancia entusiasti della “deforma” Renzi-Boschi-Verdini? Anzitutto perché sono quelli che stanno strepitando più rumorosamente paventando, addirittura i “guasti del suffragio universale” (dunque vogliono tornare al voto per censo, così si risparmiano i mal di pancia Brexit, Trump e magari una sonora sconfitta al referendum). Secondo: perché stanno rilanciando l’idea che il disastro americano sta nel fatto che le élite sono state battute. E che solo queste o gli oligarchi che dir si voglia, abbiano dunque il diritto di condurre un Paese moderno (preoccupanti le affermazioni dell’Emerito re Giorgio e dell’indecente Rondolino sull’argomento). E comunque viene male immaginare Trump non espressione di potentati, a sua volta.
Certo vedere un miliardario dai tratti fortemente xenofobi, un affarista che tratta le donne come oggetti, sedersi alla Casa Bianca al posto di Obama, icona democratica molto più fuffa che realtà, fa male. Posso concederlo, ci mancherebbe. Ma coloro che alzano alti lamenti all’elezione del magnate e si stracciano le vesti davanti all’ipotesi di un paese dominato dai “reazionari” repubblicani alla Casa Bianca, al Senato e al Congresso non sono gli stessi che vogliono devastare la nostra bella, giusta, garantista Costituzione?
Coloro che parlano di democrazia violata (davvero patetici alcuni corrispondenti italiani negli Usa) non credono che anche in Italia bisognerà impedire che con l’Italicum e la revisione costituzionale ci sia un partito pigliatutto? Che un governo sovrasti il Parlamento? Che ci sia uno dei due rami delle assemblee elettive, il Senato, composto da dopolavoristi con l’immunità (non si sa mai) e l’altro di nominati dal partito? Che la volontà popolare sarà ancora più difficile da attuare? Che il presidente della Repubblica potrebbe essere un uomo manovrabile visto il meccanismo di elezione e non più il garante della Costituzione?
E, visto che ci sono, diciamoci altre due o tre cose. Gli americani hanno votato l’uomo che ritengono possa difenderli meglio. Non da Putin (ossessione della Clinton) ma dal terrorismo islamico. Non da immigrati ma dal politicamente corretto che negli ambienti democrat alligna come una mala pianta. Perché se la “sinistra” fa la “destra” allora è meglio l’originale. Non è un caso che Trump sia stato scelto non dai magnati che, anzi lo hanno osteggiato, ma dagli operai. Il Corriere della Sera racconta e spiega infatti come in Winsconsin e nelle cintura operaie c’è stata “la rivolta dei deplorevoli”. E bisognerebbe chiedersi perché questa nuova destra piace ai diseredati.
Vogliamo dirci infatti chi sono i democratici americani? Una banda di affaristi e guerrafondai senza scrupoli. Hanno bocciato Sanders, che avrebbe avuto più chance contro Trump, per scegliere l’espressione della finanza, delle lobbies, delle multinazionali. Invece hanno scelto Clinton, una donna opaca, espressione di una “dinastia”, dietro molte delle operazioni militari più devastanti nel mondo.
C’è da chiedersi perché gli operai hanno votato Trump e non i sedicenti liberal. Questo è un problema che riguarda anche noi in Italia dove un partito che si dichiara democratico è la punta di diamante dell’oligarchia e in suo nome (e in quello della Confindustria) attua scelte antipopolari: jobs act con lo schiavismo del precariato e dei voucher incorporati, devastazione della scuola, della sanità e della Costituzione. Trump è un campanello d’allarme. Renzi e i suoi s’interroghino. L’Italia ha già avuto Berlusconi. E il governo del Pd e di Alfano-Verdini sta aprendo la strada a nuove avventure.
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