Intervista a Ferrero (Rc): un Cln per fermare il Pd. E basta con la balla che non ci sono soldi: per le banche li hanno trovati

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di Vindice Lecis

“La gente sta male, la gente è incazzata. Ma c’è un’educazione alla passività che va avanti da anni, una sorta di percezione generale che spinge alla rassegnazione perché tanto “non c’è molto da fare”. Da tempo i mass media unificati ci dicono infatti che non ci sono i soldi e, dunque, che senso ha battersi? Ecco perché manca in Italia un conflitto sociale all’altezza del disastro che stiamo vivendo”. Paolo Ferrero è in treno. Da Bologna sta dirigendosi verso una località del Nord Italia per tenere un’assemblea per il No al referendum. Il segretario di Rifondazione Comunista ha accettato di dialogare con fuoripagina.it

Lei auspica il conflitto sociale che, pur presente, è oscurato e non generalizzato. Che cosa serve per portarlo in cima all’agenda politica?

“Alcune condizioni sono necessarie. La prima è che la sinistra nel suo complesso sia in grado di evidenziare finalmente che non è vero, come ci raccontano, che non ci sono soldi”.

Ci spieghi meglio.

“Ciò che ci ripete ossessivamente la propaganda dei governi e dell’Europa è che i soldi non ci sono. Non ci sono in realtà per il welfare, la sanità, la scuola, i contratti. Che manchino le risorse è una colossale menzogna. Perché ci sono. Il Paese è pieno di ricchi evasori, il governo compra aerei da guerra, regala sgravi alle imprese. Che dire degli 80 miliardi il governo regala alle banche e non li investe per i cittadini e il lavoro. Partiamo da qui”.

Invece come reagisce il lavoratore o il disoccupato?

“Non è facile passare da lotte difensive a offensive. Le cito l’esempio di un lavoratore che ha scioperato contro la riforma Fornero: mi ha detto rassegnato che, purtroppo, era quasi necessaria quella riforma perché “non ci sono i soldi”. Capisce? La narrazione dei mass media a reti unificate deforma la realtà. Il cittadino vive dunque una contraddizione: difende i suoi diritti ma vive questo fatto colpevolmente, come se i questi fossero un lusso”.

La lotta di classe l’hanno dunque vinta i ricchi?

“E’ passato un ragionamento folle: se sei ricco hai ragione e sei sei povero sei sfigato. E questo meccanismo rende contraddittoria la difesa dei diritti proprio in chi subisce l’attacco”.

Che cosa fare dunque?

“Dobbiamo dare progettualità all’incazzatura, al disagio. L’obiettivo è spiegare che le risorse ci sono e le devono investire. Solo così il povero non vedrà gli altri poveri come nemici o avversari, proprio come vuole la destra”.

Tuttavia adesso c’è la battaglia referendaria da vincere.

“Le persone che hanno interesse per la politica hanno già maturato un chiaro orientamento per il No. Ma esiste una quota alta di indecisi, ed è su questa che si sta concentrando Renzi”.

In effetti il premier è sempre in tv, senza contare le milioni di lettere inviate ai quattro angoli del mondo. Pensa che sposteranno consensi?

“Renzi tenta il tutto per tutto. Assistiamo a una squallida televendita, a messaggi iper populisti e demagogici. Sa perché sta accadendo questo?”

Me lo dica.

“Perché Renzi si è reso conto della grande reazione popolare alla revisione costituzionale. Inaspettata dal suo punto di vista. Il No è un fenomeno di massa che rappresenta un nuovo protagonismo che non si osservava da moltissimi anni. Forse paragonabile solo alla mobilitazione sull’Articolo 18 promossa dalla Cgil di Cofferati. Questo è un messaggio per noi: saper intercettare questa sinistra in movimento molto ampia”.

Pesa anche un giudizio del Paese non lusinghiero su Renzi, almeno a vedere i sondaggi…

“C’è una valutazione negativa a mio parere su Renzi e le scelte del suo governo. Aveva creato enormi aspettative, nella linea ormai seguita da anni: governi che palesemente non fanno gli interessi dei cittadini e si affidano all’uomo della Provvidenza che salva il Paese. Da Berlusconi a Monti a Renzi è andata così: hanno creato grandi aspettative seguite da conseguenti frustrazioni e cocenti delusioni”.

Renzi ha esaurito il suo ciclo?

“E’ entrato nella parabola discendente e la sua immagine si rovescia nel suo contrario. Le sue azioni trasudano odio e arroganza. Il No peserà anche nel merito dell’azione di governo”.

Il sindacato non sembra pesare come in passato.

“Il sindacato nel suo complesso funziona scarsamente come difesa collettiva. A partire dalla Cgil bisogna ricostruire una pratica sindacale di base. La gente è incazzata e ha bisogno di capire come uscirne. I sindacati devono fare la propria parte cosa che è largamente mancata”.

Nel vostro campo c’è movimento. Sta per nascere Sinistra Italiana dalle ceneri di Sel…

“La sinistra deve essere aggregante su tre questioni: essere antiliberista, alternativa al Pd e al cosiddetto socialismo europeo. Questa aggregazione non trova risposte semplicemente nella forma partito perché nella sinistra larga ci sono molti pensieri: comunisti, socialisti, cattolici, ambientalisti. Il partito può lavorare dentro un soggetto politico che abbia un netto orientamento: autonomo e anti liberista. Aggiungo che sarebbe straordinario se si ponesse come programma l’applicazione precisa della Costituzione. E tassare i ricchi, garantire lavoro e diritti”.

Mi dica però di Sinistra italiana…

“Appunto… non vorrei che ritenessero il proprio partito esaustivo delle complessità e differenze. In realtà nasce per non fare il processo unitario con noi. Hanno deciso che quello sarà un partito di tutti, ma non lo sarà mai”.

Immagina un nuovo soggetto a sinistra?

“Pensiamo a un’aggregazione plurale e molto aperta, dai seguaci di papa Francesco ai comunisti ai sindacati di base ai compagni della Cgil. Non una federazione ma un’aggregazione dove vale la regola di una testa un voto, dove non si chiedono abiure, dove si può avere la doppia tessera”.

Ma Rc si scioglie?

“Affatto. Noi di Rifondazione non ci sciogliamo anzi riteniamo che la nostra presenza sia necessaria anche se non sufficiente. Vogliamo però che la sinistra alle elezioni si presenti con un unico simbolo, partendo dalla pratica della democrazia dal basso con regole certe e volti nuovi. In pratica, dico che i comunisti restano perché hanno un orizzonte ideale e programmatico di trasformazione della società”.

Un’aggregazione che potrebbe essere definita in che modo?

“Se mi chiede una definizione direi un Cln antiliberista per impedire la barbarie, qui ed ora”.

Più vicini a voi dovrebbero essere i comunisti del Pci…

“Pdci o Pci sono la stessa cosa, ritengo non di buon gusto riproporre quel nome. Nessuno è erede di quel partito. Ricordo solo che se il Pci è stato chiuso dall’interno e se l’Urss ha fallito, qualche problema vuol dire che c’era. Il tema della Rifondazione si pone e con questa fare i conti con gli errori del passato”.

Quale rapporto terrete col Pd negli enti locali? Ci sono stati casi di intesa come a Cagliari.

“In Italia non ci sono accordi col Pd nel 99% dei casi. Il Pd è pessimo a Roma ed è pessimo ovunque. Presentarsi al voto per le amministrative significa che occorre tener conto che gli stessi bilanci incorporano politiche di destra, come le privatizzazioni. Sono dunque favorevole a costituire maggioranze e giunte di disobbedienza civile”.

Ma servono alleanze, a partire dalla sinistra.

“Ai compagni del Pci a quelli di Sinistra italiana propongo una mobilitazione unitaria anche perché già il 5 dicembre sarà uno snodo decisivo dopo il quale dovremo lavorare per un’aggregazione ampia. Dare a sinistra cioè uno sbocco. Che non è, voglio essere chiaro, Sinistra italiana più D’Alema e qualche altro. La discriminante sarà un polo autonomo e alternativo al Pd. Liste di sinistra per fare poi accordi col Pd non servono a nulla”.

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