di Vindice Lecis
“Qui staremo bene e discorreremo in pace” disse Fidel Castro a Enrico Berlinguer che guidava la delegazione del Partito comunista italiano a Cuba. Era l’11 ottobre del 1981, su un’isoletta a un’ora di motoscafo da Playa Giron, meglio conosciuta come “Baia dei porci”. Il luogo dove nel 1961 i 1500 mercenari sostenuti dagli Usa furono respinti dopo una battaglia di 68 ore dalla milizia popolare cubana. Ai bordi di una piscina, Fidel Castro convinse Berlinguer e gli altri ospiti a mettersi in costume da bagno e zoccoli. “Lo spettacolo di Berlinguer e Castro in costume da bagno, ai bordi di una piscina in un’isoletta del mar dei Caraibi avrebbe fatto la felicità di qualsiasi fotoreporter” ricorda divertito Antonio Rubbi, all’epoca responsabile della sezione Esteri del Pci e componente della delegazione italiana (formata anche da Renato Sandri, Ugo Baduel e Giorgio Oldrini dell’Unità e Vincenzo Ceci e Vincenzo Marini della Vigilanza) che incontrò i cubani. Rubbi ha ricordi molto nitidi di quei giorni a Cuba e sorride ancora per quella scena: “L’uno, ossuto e mingherlino e un po’ ingobbito; l’altro aitante e possente tanto da sovrastarlo. Entrambi con un sigaro di venti centimetri in bocca che Enrico non aveva avuto il coraggio di rifiutare e che fumava con disagio”.
Berlinguer e Castro non si erano mai incontrati.
“Mai. Da parte cubana erano giunti alcuni inviti, nel 1975 e nel 1979. Ma al termine di un lungo lavoro di preparazione finalmente il 9 ottobre del 1981 all’una e mezza di notte sbarcammo all’aeroporto di L’Avana”.
Che cosa accadde?
“Che Fidel Castro, contravvenendo al cerimoniale che prevedeva la sua presenza solo in occasione dell’arrivo dei capi di Stato e di governo, ricevette di persona Berlinguer. Appena lo vide gli disse: “Bienvenido!” abbracciandolo con calore. Chiese subito di Roma e del suo sindaco Petroselli stroncato da un infarto qualche giorno prima”
Perché a Fidel interessava incontrare Berlinguer?
“Aveva l’enorme curiosità di scoprire chi fosse l’eretico comunista che aveva avuto l’onore di una copertina del Time, sfidato i sovietici, aperto ai cinesi e del quale tutte le personalità europee che incontrava gli parlavano bene. Ma non furono solo rose e fiori”.
Perché?
“Perché tra noi e i compagni cubani non mancarono certo divergenze, a volte avevamo posizioni opposte”.
Andiamo con ordine. Che accadde quella sera?
“Dopo l’incontro in aeroporto fummo trasportati al Laguito, una villa costruita negli anni di Batista. Ma noi pensavamo all’incontro dell’indomani nella sede del comitato centrale. Da tener conto che era la prima volta che un segretario del Pci metteva piede nel continente americano. Noi avevamo appena definito e stilato una Carta della pace dello sviluppo che incontrò molte favorevoli aperture”.
Il giorno dopo ci fu il primo incontro ufficiale tra le delegazioni. Come andò?
“Cominciò in modo curioso. Fidel Castro, nell’attesa del pranzo, cominciò parlando di Ufo. Ci disse di non essere certo della loro esistenza e raccontò di alcune strane apparizioni nei cieli cubani che non furono rilevate nei radar. Aggiunse che però poteva trattarsi di aerei spia americani”.
Che cosa disse durante il pranzo?
“Elogiò Andreotti per il ruolo avuto in Salvador chiedendoci ironicamente di non infierire troppo contro di lui. Poi si informò sul movimento pacifista italiano ed europeo. E qui cominciarono i primi distinguo tra lui e Berlinguer a proposito dei missili”.
Ci racconti.
“Berlinguer sulle manifestazioni nell’Occidente disse: non sarebbe male che queste si tenessero anche a Mosca e nei paesi dell’Est. Castro replicò: perchè dovrebbero farlo se i sovietici hanno solo raggiunto un livello di parità dopo essere stati in svantaggio? Berlinguer allora ribadì di avere qualche dubbio. E si creò un certo imbarazzato silenzio”.
Fu dunque un approccio difficile tra i due.
“Stentavano ad entrare in sintonia. Ma recuperammo grazie al papa”.
Davvero curioso…
“Richiesto di un’opinione su Woityla, Berlinguer fece un’analisi molto articolata e puntuale dando un giudizio positivo delle sue parole sulle questioni sociali ma molto critico su quelle delle libertà civili a partire dalle donne. Castro fu d’accordo. Il ghiaccio era rotto”.
Come proseguì la visita?
“Il programma fu intensissimo, un tour per tutta l’Isola. Furono giorni piacevoli, e molto militanti. Dalla tomba di Josè Martì, alla sosta in un seggio elettorale, dalla visita alla caserma Moncada fino alla base Usa di Guantanamo osservata dal mare. All’isola dei Pini vedemmo il terribile carcere di Batista, poi la cittadella della solidarietà internazionale e, infine, rendemmo visita alla Ubre blanca.
Di cosa si trattava?
“Era la visita solenne alla mammella bianca, la mitica vacca che aveva il record di produzione del latte: 107 litri in quattro mungiture durante una giornata! E questa vacca ci contendeva i titoli della prima pagina del Granma il giornale del partito”.
Vi incontraste ancora?
“Certo. Nella sede del comitato centrale, Berlinguer incominciò a parlare alle 16,30 e alle 23,30 Fidel propose di aggiornarci”.
Come era Fidel come interlocutore?
“Tenace, abile, convinto ma anche disponibile alle tesi dell’interlocutore. Non ebbe mai un moto di insofferenza sulle nostre posizioni spesso diverse. Quell’incontro fu cordiale e schietto nel linguaggio”.
Quali furono invece le divergenze?
“In quei mesi avevamo di fronte la questione dei missili e i conflitti in Centro America, nel Corno d’Africa, in Africa australe e l’intervento sovietico in Afghanistan che avevamo condannato duramente. Noi sostenevamo la necessità della distensione e un’uscita dai blocchi graduale. Insistevamo sul dialogo Usa-Urss, dell’Europa, dei Non allineati”.
Castro non condivideva?
“Riteneva che le tensioni e le guerre fosse causati dall’imperialismo americano e dalla sua politica. Non accettava che si mettessero sullo stesso piano Usa e Urss,”.
Come replicò Berlinguer?
“Che il Pci si batteva per non avere i Pershing e i Cruise americani in Europa e in Italia ma non voleva nemmeno avere la minaccia degli Ss-20 sovietici. Ricordò anche che alcuni interventi armati di Cuba erano discutibili, come quello in Etiopia. Ma posizioni diverse si ebbero su democrazia e socialismo”.
Castro era il leader di un socialismo rivoluzionario non allineato.
“Molto orgoglioso di questo. Ricordò che gli Usa avevamo fatto dei Caribi il giardino di casa. E portò l’esempio di Allende. Spiegò che si era trattata di una rivoluzione pacifica che però non aveva intaccato i poteri dell’oligarchia né riformato l’esercito. Ma Castro era un affabulatore straordinario e uomo di enorme curiosità”.
Ricorda altri episodi?
“Dopo sette ore di incontro ci salutò dicendo che avremmo ripreso presto la discussione. Ma non avevamo capito che presto per lui significava solo due ore dopo. Ritornò da noi all’una e mezzo di notte, ci fece portare rum e sigari e parlammo stavolta senza l’ufficialità e senza stenografi”.
Ci parli di questo Fidel privato.
“Chiese di Antonio Gramsci, voleva sapere del suo pensiero. Parlò a lungo del Che. Cercava di spiegarci la specificità degli immensi problemi dell’America latina. Dopo una lunga discussione ci salutammo e ci ritrovammo ancora poche ore dopo. E qui accadde un episodio singolare”.
Un altro?
“Fidel venne a prenderci con la delegazione e una robusta scorta. Al momento di salire in auto, che era una monumentale vettura sovietica blindata, Berlinguer chiudendo lo sportello non si rese conto che il capo della scorta, un colonnello, ci aveva messo la mano. Che fu schiacciata pesantemente con grave imbarazzo di Enrico che non sapeva come scusarsi. Da lì andammo a Playa Giron. Poi venne anche la parte difficile”.
Quella ufficiale?
“Sì, le quattro sudate paginette di comunicato che stendemmo io e Sandri con Ardizones e Guzman per i cubani. Mentre Berlinguer era con Fidel a pesca, noi scrivevamo”.
Berlingur e Castro pescarono insieme?
“Castro in persona con fucile, muta e respiratore si era immerso più volte e con la scorta pescò ceste di aragoste, cernie e persino un pescecane di un metro e mezzo”.
E le quattro paginette del documento?
“Conteneva due novità: l’intesa sul nuovo ordine economico mondiale e la conferma per la prima volta in un documento, delle nostre diversità. Fidel acutamente accettò questa impostazione del tutto originale. La dizione scelta fu che Pci e Pcc ammettevano “valutazioni in parte diverse su alcune questioni internazionali e sulle cause dell’aggravamento della situazione internazionale”.
Come terminò la visita?
“Il pescato, le aragoste ricordo, fu consegnato all’ambasciatore che organizzò un pranzo nella sua residenza alla presenza di Fidel, naturalmente. Per un’ora davanti alle delegazioni e ai giornalisti divertiti si esibì in una girandola di battute, storie della guerriglia e aneddoti. Lui era seduto vicino a Berlinguer che rideva”.
Berlinguer che cosa disse?
“Gli incontri furono positivi e importanti. Berlinguer era partito da Roma prostrato dalla morte di Petroselli e dai nostri tanti problemi, a partire dal terrorismo. Ma giorno dopo giorno in quella visita lo vidi allegro, sorridente. Sandri che era con me mi disse. “Non l’ho mai visto così”.
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