di Vindice Lecis
“Non credevo mi odiassero così tanto”. La candida, sorprendente per certi versi, dichiarazione al Corriere della Sera da parte di Matteo Renzi conferma quanto sia stata vaga e distratta in questi anni la comprensione della situazione del Paese e la consapevolezza del malessere profondo degli italiani, da parte del premier e del suo governo. D’altra parte, se scorriamo le cronache, troviamo molte visite a fabbriche vuote, incontri con industriali e finanzieri e una miriade di comparsate televisive. Un mondo dorato e poco avvezzo ai problemi delle persone in carne e ossa. Renzi ha giocato d’azzardo e ha perso, travolgendo nel suo disastro anche quegli apparati fidelizzati e spregiudicati che, dal giglio magico, in giù detengono saldamente il potere di giunte regionali e comunali, banche, fondazioni creditizie ed enti statali.
“Non credevo che mi odiassero tanto” è un’amara e sincera confessione di resa, l’ammissione di incapacità, di straniazione dalla realtà. Ma che deve essere risuonata terribile anche dalle parti del presidente della Regione Sardegna, Francesco Pigliaru. Immaginiamo la scena: l’algido governatore passato dalle incontinenze verbali di Lotta Continua al renzismo più hard si accorge nella notte di domenica che il 62% dei sardi è andato a votare. Ma che la stragrande maggioranza di questi 859 mila cittadini che hanno deposto la scheda nell’urna, ha detto di No al quesito truffaldino con ben il 72,2%. Immaginiamo che Pigliaru, o il suo staff, abbiano compulsato i siti del ministero dell’Interno o dell’agenzia giornalistica Ansa e si siano accorti con sorpresa che la Sardegna è la regione con il maggior numero di contrari alla “riforma”. Chissà che figura con Luca Lotti!
Per Pigliaru e la sua giunta non si tratta di un semplice campanello d’allarme, ma della conferma di un livello di popolarità ormai sotto la soglia. Solo nel giugno scorso molte importanti amministrazioni del fu centro-sinistra avevano cambiato segno a dimostrazione di uno smottamento profondo, del legame spezzato – se mai c’è stato – tra il severo professore e il popolo di sinistra e autonomista.
E’ certamente cominciato per Pigliaru il giro finale. Starà ripensando, ma ne dubitiamo, se sia stato giusto spendersi come fedele maggiordomo del governo in tante occasioni. Ruolo svolto con zelo e cura ma non portando a casa che generici patti che si sospetta invece essere scatole vuote. I risultati della sua giunta sono decisamente deludenti o controversi. Sul lavoro e l’occupazione latita, sui trasporti è a dir poco imbarazzante, sulla programmazione non ci sono strategie, sull’industria si amministra il disastro. E sulle questioni dell’autonomia sarda segna il punto più basso della nostra storia.
Ecco perché appare ancora più sorprendente la contorta dichiarazione rilasciata dal presidente del consiglio regionale Gian Franco Ganau – ex sindaco di Sassari diventato renziano dopo la sconfitta subita ad opera di Francesca Barracciu nelle primarie, prima che la ex sottosegretaria gaffeurs inciampasse nei rimborsi benzina. Ganau ritiene che “il risultato in Sardegna non comporti cambiamenti negli assetti attuali, se non in termini di rafforzamento della squadra di governo, intervento già programmato per il rilancio dell’azione della Giunta”. Dunque si propone la vecchia ricetta di un rimpasto al pane carasau ma senza toccare lo sbrecciato profilo programmatico di un esecutivo regionale paralizzato.
Il No in Sardegna mette comunque in mora il Pd relegandolo nell’angolo. Il partito ha accumulato un potere immenso ma è come una tigre di carta: il voto popolare evidenzia i grandi limiti di classi dirigenti cresciute nello stantio odore delle correnti, e rappresentato da sindaci che sono imbarazzanti anche per l’elettorato più avveduto. I primi cittadini Pd sono infatti quelli che escono sbertucciati dal voto: il no ha ottenuto il 74,6% a Oristano e il 69,7% a Sassari. Nicola Sanna, nel capoluogo turritano, è stato il pasdaran tra i sindaci. Ma anche Zedda, l’ircocervo di Sel, che ha fatto l’aringa nel barile dopo aver interpretato la parte di testimonial renziano, ne esce con le ossa rotte: il no nella sua Cagliari è al 69,7% e, secondo i dati dell’Istituto Cattaneo che ha analizzato i flussi elettorali, il 45,9% degli elettori Pd del capoluogo ha votato no alla riforma. Anche per Massimo, camicia bianca da statista estivo, un campanello d’allarme.
Bisogna possedere una gran dose di malafede nel pensare – come si è detto e scritto in queste ore – che in Sardegna abbia vinto il centro destra. Niente di più falso. Non risultano infatti grandi masse di sostenitori di Salvini nell’isola e, a parte il sindaco di Olbia Nizzi, i berlusconiani sono ai minimi termini. Dunque bisognerebbe avere l’onestà di riconoscere che il No è stato un voto popolare ampio e articolato ma sostenuto in primo luogo con tenacia dalla sinistra sarda: Anpi, Arci, Cgil, Fiom, Si, Pci, Prc ma anche dalle varie organizzazioni indipendentiste e sovraniste che si sono spese con energia. Oltre che i tanti comitati indipendenti sorti come funghi. Così come bisogna riconoscere l’impegno forte del Movimento 5 stelle. D’altra parte era un referendum, bisognava pronunciarsi. Nessuna Brexit, al massimo una Pigliarexit imminente.
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