di Vindice Lecis
Per Francesco Pigliaru e la sua giunta è iniziato il conto alla rovescia. Stritolato dalla morsa dell’asse Cabras-Maninchedda che detta l’agenda e dall’insufficienza del suo agire (lavoro, trasporti e, persino, conti sono davvero disastrosi come sentenzia la Corte Costituzionale) deve ora rivedere la sua collocazione strategica: ha un evidente problema a sinistra. E’ una giunta spompata e al capolinea, a conferma che la propulsione renziana è esaurita perchè soltanto apparenza. Il suo orizzonte sembra essere lo spiaggiamento in un centrismo paludoso. L’uscita dei Rossomori (due consiglieri) e dell’unico comunista dalla maggioranza (l’altro, Unali, eletto con Sinistra Sarda in quota Rifondazione ha dato notizia di se solo approdando nell’autonominato Partito dei sardi) apre un problema che non è solo numerico o nomitativo ma di linee.
Non basta certamente il collaborazionismo disperato della pattuglia governista di Sel a poter riconoscere qualcosa di sinistra e decisamente autonomistico nella maggioranza. Occorre allora ammettere che il renzismo diffuso e fanatizzato del presidente e della sua giunta ha il sapore acuto della sconfitta, del disastro politico. Non c’è infatti una sola scelta che possa soltanto avvicinarsi all’idea del progresso e di esaltazione dell’autonomia.
Chi comanda è l’asse strategico tra Antonello Cabras e Paolo Manichedda. Che i due al referendum del 4 dicembre abbiano votato in modo differente (forse) non cambia di una virgola il sodalizio. Il primo, già socialista e poi scalatore dei Ds sardi, è onnipresente con i suoi uomini nella giunta e in tutti – proprio tutti – enti, organizzazioni e in svariate operazioni. Il secondo, abile e autoritario assessore, ex “soriano” è ora leader del Partito dei Sardi, formazione che vellica “sovranismo” e “indipendentismo” persino con un filone socialista. Rassicurante stampella di Pigliaru punta a prenderne sicuramente il posto.
Il Pd è un carro senza ruote. Da mesi senza segretario, da ancora più tempo assiste inerte a uno smottamento del suo potere nel territorio. Un disastro dietro l’altro: da Nuoro a Carbonia passando per Porto Torres e Olbia sino al tracollo totale e assoluto del referendum costituzionale. Lampi e tuoni si intravvedono sul futuro delle amministrazioni di Sassari e di altre medie realtà. Eppure l’azionista di riferimento dalla tolda della Fondazione di Sardegna, manovra, promuove, boccia, consolida scelte e uomini.
La sinistra sarda ha ora un’occasione. Di mandare a casa il Pd e respingere l’assalto della destra compradora. Lo può fare solo con un progetto chiaro e riconoscibile. Riprendendo un percorso virtuoso dai territori, sui temi del lavoro, dell’autonomia regionale, dei trasporti interni ed esterni, della sanità e istruzione pubblica, dell’agricoltura, dell’industria pulita, dell’agroalimentare. Parlando con tutti e senza primogeniture. Il centro sinistra è finito, anche semanticamente. Nulla è rimasto di quella tenue esperienza (stava cominciando, pensa tu, con Barracciu, azzoppata definitivamente dalla devastante inchiesta) approdata alla crepuscolare esperienza di governo dei Professori. Rossomori, comunisti, forze di sinistra e altre, attente ai valori dell’autonomia non abbiano problemi a confrontarsi. Evitando accampamenti di cacicchi e caudilli territoriali. Diffidando di quanti propongono pacchetti di voti come qualità.
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