di Vindice Lecis
Palmiro Togliatti è uno di quei personaggi che un revisionismo storico, dozzinale e orfano di ricerca, ha ammantato di una leggenda nera. Cinismo e doppiezza gli sono stati appiccicati come un abito grottesco. Così come i sospetti sul ruolo giocato nella Spagna repubblicana, sulla vicenda dello scioglimento del partito polacco, sul lavoro nel segretariato del Comintern con Dimitrov e, di conseguenza, sullo stalinismo.
Eppure di Togliatti si discute ancora dopo decenni. Nel tentativo di analizzarne in modo certamente critico ma sempre più completo, al riparo dalle dispute negazioniste, la ricchezza e l’originalità della sua azione politica: sia come esponente di primo piano del movimento comunista internazionale, che come segretario generale del Pci e costruttore della democrazia repubblicana. Un libro stampato da Carocci e curato da Alex Hobel e Salvatore Tinè, Togliatti e il comunismo del Novecento, raccoglie i frutti di un convegno promosso nel 2015 a Catania, che prendeva le mosse dall’anno togliattiano. Si tratta di un volume assai denso, con relazioni accurate, aperte e aggiornate alle novità crescenti che affiorano dai documenti e capaci di inquadrare i vari aspetti della personalità e dell’attività di Togliatti.
Nessun tema viene omesso. Tanto meno il legame infrangibile con l’Unione Sovietica. Innegabile ma inquadrabile in quella caratteristica – costitutiva in Togliatti e in gran parte dei gruppi dirigenti figli dell’antifascismo e dell’Internazionale – dello storicismo e del realismo politico. Non è un caso che, dopo il XX congresso del Pcus (1956) e la denuncia dei crimini di Stalin, nelle riflessioni di Togliatti assumano un peso crescente i temi del policentrismo e dell’unità nella diversità. Si spiega così anche l’apertura al mondo cattolico con la conferenza di Bergamo del 1963 sui destini dell’uomo, preparata da una lunga azione sui temi della pace e del pericolo della guerra nucleare vista come la fine della civiltà dell’uomo.
Togliatti difese la via nazionale al socialismo. La costruì anzi, in modo inequivocabile e rivendicandola in alcune occasioni, sin dal 1944. La cesura di quell’anno, col suo rientro da Mosca, è segnata dal via libera alla partecipazione dei comunisti al governo Badoglio e dall’elaborazione politica alla base di un vero partito di massa, non solo propagandista, di quadri o meramente agitatorio. Il legame di ferro con l’Urss resistette. Ma Togliatti – scrive Aldo Agosti nel primo saggio Togliatti e il movimento comunista mondiale – sin dalla seconda metà degli Anni Quaranta “raramente figurò in prima fila nel coro dei panegirici che veniva tessuto delle democrazie popolari, ma nei suoi giudizi non è mai dato di cogliere nessuna riserva, neppure velata”. Che troveremo invece, più avanti, in particolare dopo il XX congresso. Anche se, dopo i fatti di giugno a Poznam in Polonia e dopo la repressione sovietica in Ungheria dell’ottobre-novembre, il leader comunista non ebbe dubbi: “Si sta dalla propria parte anche quando questa sbaglia”.
Nella celebre intervista alla rivista Nuovi Argomenti, nello stesso anno, pur non nascondendo il fastido per “il carattere spettacolare e superficiale della denuncia dei crimini di Stalin da parte di Cruscev” spostò “l’accento dal culto della personalità del partito bolscevico, alla sua tendenza a dirigere tutta la vita civile e a identificarsi con lo Stato: vi compariva anche il termine degenerazione che suscitò l’irritazione del gruppo dirigente sovietico” (Agosti).
Togliatti e le sue intuizioni, divenute azione politica, hanno i nomi di policentrismo, via italiana al socialismo, riforme di struttura. Giuseppe Vacca, nel saggio Via italiana da Salerno a Jalta, liquida “il falso dilemma tra autonomia ed eteronomia nella storiografia sul Pci” mettendo in rilievo invece l’interdipendenza tra la storia del Pci e quella del comunismo sovietico. Il memoriale di Jalta non è un documento profetico ma Togliatti collega la crisi del comunismo internazionale (ad esempio con la rottura tra Urss e Cina) al mutamento in corso nel mondo. Vacca giunge ad affermare che la caduta dell’idea stessa del movimento comunista internazionale spinse Togliatti a chiedere a Cruscev “una revisione delle basi ideologiche del comunismo internazionale. Il memoriale va letto in quest’ottica”.
“Un politico realista, guidato da una sorvegliatissima prudenza” scrive Vacca. Ma non mancò, con energia, di perorare i tratti peculiari delle scelte strategiche del Pci a partire dal rapporto stretto tra democrazia e socialismo. Nella relazione letta al X congresso del partito (dicembre 1962) affermò che nell’ “avanzata verso il socialismo nella democrazia e nella pace, noi introduciamo il concetto di uno sviluppo graduale, nel quale è assai difficile dire quando, precisamente, abbia luogo il mutamento di qualità”.
“Togliatti e il movimento comunista nel mondo bipolare” è il tema affrontato invece da Alex Hobel. In questo saggio emerge l’attenzione del leader comunista verso i Paesi non allineati e all’autogestione jugoslava, il contrasto con la Cina che mai sfociò in scomunica, l’intuizione di un ruolo propositivo e di orientamento dei partiti comunisti europei, segnatamente il Pci e il Pcf pur con grandi differenziazioni. Un periodo lungo, segnato dalla rivoluzione cinese, dalla morte di Stalin, dalla decolonizzazione e dalla crescita dei movimenti di liberazione “socialisteggianti”, dalle guerre di Corea e del Vietnam. In questo scenario, Togliatti opera un collegamento tra il “nuovo dinamismo nell’iniziativa internazionale” con il rafforzamento della strategia della via italiana al socialismo. Hobel, acutamente, riprende la questione delle riforme di struttura. Che secondo Togliatti “non sono il socialismo. Sono però una trasformazione delle strutture economiche che apre la strada per avanzare verso il socialismo”. C’è attenzione anche sul tema delle nazionalizzazioni che possono spezzare il “potere economico dei monopoli”.
Di sicuro interesse il saggio di Ruggero Giacomini, Gramsci, Togliatti e il Partito bolscevico. Su alcuni nodi più discussi e controversi. La premessa parte dalla constatazione dello sbilanciamento della bibliografia gramsciana in Italia, tutta orientata sul periodo carcerario e scarna, invece, su quello dell’attività politica come massimo dirigente del Pcd’I. Inoltre, sul periodo carcerario si assiste, ciclicamente, a una tendenza sensazionalistica a tratti del tutto congetturale, non solo sul rapporto complesso tra Gramsci e il suo partito, ma anche sulle presunte diaboliche macchinazioni dei dirigenti comunisti per farlo marcire in carcere. Carcere fascista, beninteso. Vengono analizzate alcune lettere “famigerate” fatte arrivare in carcere a Gramsci per danneggiarlo e i tentativi operati dai sovietici per salvarlo. Un intreccio di spionaggi e provocazioni, operati anche dal giudice istruttore per ingenerare nel dirigente incarcerato sospetti sul Pcd’I. E Togliatti, nonostante questa spada di Damocle, nel dopoguerra fu il protagonista nel recupero e nella valorizzazione delle opere di Gramsci stesso.
Salvatore Tinè nel suo lavoro Stato e rivoluzione nel pensiero di Togliatti (1919-1936) colloca l’elaborazione di Togliatti in un posto importante nella storia del marxismo teorico e politico del Novecento. “Il tema dello Stato – scrive – come terreno principale della lotta rivoluzionaria della classe operaia e delle masse popolari per la democrazia e per il socialismo è uno dei fili conduttori di tale elaborazione”. Nei tre lustri presi in esame – dall’esperienza dell’Ordine Nuovo alla Guerra di Spagna – viene individuato il “nesso dialettico, ovvero di identità e insieme di differenza, tra rivoluzione antifascista e rivoluzione anticapitalista” come “nucleo teorico della riflessione di Togliatti sul rapporto tra Stato e rivoluzione, tra socialismo e democrazia”. Nelle Lezioni sul fascismo prefigura la strategia dei fronti popolari e individua nel fascismo quel regime reazionario di massa come il nuovo dello stato capitalistico nel periodo dell’imperialismo e delle rivoluzioni proletarie.
Alexander Hobel e Salvatore Tinè (a cura di) Palmiro Togliatti e il comunismo del Novecento (Carocci editore, pagine 167, 17 euro)
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